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Il Conte 2 un anno dopo. Tra sorrisi ed emozione (con l’ombra di Salvini)

Dov’eravamo rimasti? Era il 1° giugno dell’anno scorso e davanti a Sergio Mattarella sfilava la rivoluzione gialloverde. Adesso sfila un’altra cosa, non una rivoluzione quanto un complicato incrocio di storie, passioni, ideologie (sì, ideologie) e di nessuna voglia di andare a votare, anche se non si sa come andrà a finire. Molti debuttanti, qualche ritorno, un pezzo della vecchia politica che dovrà andare a braccetto con il multiforme Movimento 5 Stelle: ecco il secondo governo Conte: 10 ministri del Movimento 5 stelle, 9 del Partito democratico, uno di Leu e un tecnico, il nuovo titolare del Viminale Luciana Lamorgese.

I momenti di un giuramento al Quirinale sono sempre gli stessi. Prima sciamano i parenti col vestito della festa e l’emozione in faccia. Spicca un’elegante Nunzia De Girolamo, già ministro del governo Letta, stavolta in “quota” del neoministro Francesco Boccia perché è sua moglie, pure emozionata. Accanto a lei due “registi” della crisi: il neosottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, e l’uomo comunicazione del M5s (e di Giuseppe Conte), Rocco Casalino. Due file dietro c’è Virginia Saba, fidanzata di Luigi Di Maio con il “cognato” Giuseppe: vestito nero sobrio e un po’ di emozione. Cinque minuti dopo, alle 9.55, arrivano i ministri ed è palpabile l’emozione dei neofiti e l’apparente normalità di chi già conosce quella sala. Per esempio, Luigi Di Maio sorride molto, ma è niente rispetto al costante sorriso a 32 denti di un anno fa accanto a Matteo Salvini. In prima fila c’è Vincenzo Spadafora (Sport e Politiche giovanili) che stavolta ottiene un dicastero come avrebbe dovuto già l’anno scorso, ma poi furono cambiate le carte in tavola. Quello più teso è forse Federico D’Incà (Rapporti con il Parlamento) perché sarà il primo a essere chiamato e vuole evitare gaffe: ci pensano il cerimoniale e il portavoce del Capo dello Stato, Giovanni Grasso, a dargli le indicazioni giuste.

Quando alle 10.07 Sergio Mattarella entra con il presidente del Consiglio tutti capiscono che non c’è più tempo per i ripensamenti. Conte è austero, declama la formula lentamente, e ora sotto a chi tocca. Fila tutto liscio: D’Incà, Paola Pisano (Innovazione), Fabiana Dadone (Pubblica amministrazione), Boccia (Affari regionali e Autonomie e sua moglie registra con l’iPad), Giuseppe Provenzano (Sud), Spadafora che ha una voce tutt’altro che emozionata, Elena Bonetti (Pari opportunità e Famiglia). Ecco Enzo Amendola, che agli Affari europei dovrà riprendere il filo di certi contatti e ha l’esperienza di sottosegretario agli Esteri nel governo Gentiloni.

Poi arrivano i big e i fotografi si scatenano. Di Maio aveva fatto il vago fino ad allora, parlando con la Lamorgese, finché gli tocca e dice “eccoci…”. La Farnesina è un gigante: meccanismi rodati e complessi all’interno, grandi responsabilità all’esterno e sarà importante vedere quali e quanti sottosegretari saranno scelti. A Luciana Lamorgese, consigliere di Stato e già capo di gabinetto di Angelino Alfano e per poco tempo di Marco Minniti che la nominò prefetto di Milano, tocca un compito da brividi: non solo la “macchina” per antonomasia, cioè il ministero dell’Interno, ma succedere a Salvini, compito che non si augura al peggior nemico. Donna di polso, dovrà resistere anche alle prevedibili frecciate leghiste. Alfonso Bonafede resta dov’è (Giustizia); Lorenzo Guerini (Difesa) metterà a frutto l’esperienza in commissione Difesa e soprattutto da presidente del Copasir per gestire un comparto determinante che ha bisogno di investimenti e di certezze; Roberto Gualtieri (Economia) arriva da Bruxelles e dovrà subito lavorare alla Legge di bilancio che a Bruxelles interessa abbastanza; Stefano Patuanelli (Sviluppo economico) eredita da Di Maio un’enorme quantità di problemi mentre Teresa Bellanova (Politiche agricole) ha già esperienza essendo stata sottosegretario al Lavoro nel governo Renzi dove poi fu promossa viceministro allo Sviluppo economico così come nel governo Gentiloni.

Sergio Costa (confermato all’Ambiente) è un generale dei Carabinieri forestali. Dunque, proprio come l’anno scorso, batte i tacchi davanti a Mattarella: che cosa chiedergli di più? Magari l’odiato termovalorizzatore? Gli ultimi sfilano veloci: a Paola De Micheli (Infrastrutture e Trasporti) forse non sarà difficile far dimenticare Danilo Toninelli, Nunzia Catalfo (Lavoro e Politiche sociali) friggeva fino a pochi secondi prima del giuramento, ma ce l’ha fatta. Lorenzo Fioramonti (da viceministro a ministro dell’Istruzione) è un esperto del ramo e già pensa a tasse di scopo per trovare i soldi. Poi se penserà anche a migliorare il settore, magari reintroducendo certe bocciature e vietando i telefonini in classe, l’Italia del futuro lo ringrazierà. Dario Franceschini ha l’aria del vendicatore: torna ai Beni culturali dove Alberto Bonisoli aveva appena distrutto la sua riforma museale e accorpa anche il turismo, come logica avrebbe voluto anche nel primo governo Conte. Infine, c’è Speranza alla Salute. Nel senso di Roberto, l’unico ministro di Leu, che prende una rogna mica male. Sono passati 19 minuti, Mattarella chiede le foto di gruppo e con le ministre, poi i parenti sono autorizzati a festeggiare con il nuovo governo.

Eravamo rimasti al binomio Di Maio-Salvini di un anno fa, Luigi che non la finiva di ridere e Matteo che faceva le prove dello sguardo truce poi divenuto noto. Stavolta ce n’era solo uno, ma l’ombra del leader leghista si percepiva al Quirinale. Non era lì dentro, ma c’era.

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