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Conte bis, ovvero la débâcle di Salvini e Di Maio

Nel giorno in cui nasce il Conte bis mi torna alla memoria un evento di Confagricoltura nel palazzo della Borsa di Milano, a pochi giorni dal voto europeo di maggio. Ospiti d’onore Matteo Salvini e Luigi Di Maio, sul palco a condurre le interviste Myrta Merlino. Tensione altissima fra gli organizzatori, in sala stampa, nei servizi di sicurezza.

I ministri sono attesi a pochi minuti di distanza, ma vogliono evitare ogni forma di condivisione della scena: ognuno deve essere protagonista assoluto. L’operazione riesce mettendo tutti sotto pressione, anche se ascoltandoli parlare si capisce benissimo che siamo alla vigilia di risultati che non li renderanno felici allo stesso modo (per usare un eufemismo). Ebbene in quella giornata c’è la sintesi di tutto il fallimento che Salvini e Di Maio hanno reso possibile in questi mesi, di cui “questo” governo Conte bis è la certificazione notarile.

Chi ha dei dubbi torni un momento con la memoria a giugno dello scorso anno, al momento della nascita del primo governo Conte. A Palazzo Chigi c’è un dignitoso ma poco conosciuto giurista, mentre i due, sull’onda del voto popolare, sono i padroni della scena, perché sono capi politici, perché sono ministri, perché sono vice-premier con potere assoluto di veto su ogni provvedimento. Sono cioè i due nuovi protagonisti della politica italiana, capaci di catapultare nel passato remoto Berlusconi e di cacciare all’opposizione Renzi e il Pd in un colpo solo.

Decidono ministri, nominano consigli d’amministrazione, presiedono vertici internazionali. Certo, devono condividere decisioni, ma non hanno motivo di lamentarsi, non fosse altro per il fatto che sono alla prima esperienza amministrativa della loro vita. In pochi mesi però prendono questo immenso patrimonio e ne fanno stracci, con una mancanza di lungimiranza ed una totale assenza di senso della realtà che fanno molta impressione. Salvini e Di Maio infatti commettono due errori gravissimi, di cui ora stanno pagando le conseguenze.

Il primo è di carattere “esterno” ed è tutto legato agli equilibri internazionali. Tra ammiccamenti ai cinesi, viaggi ripetuti a Mosca, sguaiate prese di posizione all’insegna del sovranismo spinto (e quindi inutile) e abbracci ridicoli con i “Gilet Gialli” Salvini e Di Maio finiscono per dimenticare quello che siamo (per fortuna) e vogliamo continuare ad essere. Siamo cioè (noi italiani) al centro dell’Europa e amici degli americani, perché questo è il nostro posto nella storia e nella carta geografica.

Il secondo errore è di carattere “interno” e anche questo se lo sono cucinato da soli. Loro due infatti aprono una ferita nel patto di collaborazione, facendo capire al mondo intero (di cui alla scena descritta all’inizio dei questo articolo) che ci si può incuneare in quello spazio. Così fa il premier Conte, che diventa il dominus della situazione. E così fa il Pd, che mai avrebbe immaginato di tornare al governo in questa legislatura. Ma soprattutto così fa Matteo Renzi, il vero “king maker” di questo pazzo mese d’agosto che abbiamo alle spalle.

Già perché Renzi ha potuto fare il suo colpo di teatro (in plateale contraddizione con quanto da lui medesimo sostenuto per mesi) proprio perché i due hanno smesso di andare d’accordo, perché altrimenti non ci sarebbe stata alcuna possibilità. Ora Salvini si ritrova all’opposizione, pur forte di consensi oltre il 30%. Chiede elezioni che non avrà (a breve) e rischia di veder approvata una legge elettorale di più spinto impianto proporzionale che rende impossibile una sua corsa solitaria verso la conquista del governo.

Misurerà nei mesi a venire quanto la posizione di ministro dell’Interno gli mancherà e sono certo che sarà una mancanza dolorosa. Di Maio lascia tre incarichi di governo, uscendo totalmente da ogni ruolo nelle vicende economiche nazionali. Sarà comunque ministro, ma con un ruolo infinitamente meno decisivo di prima. Conte e Grillo sono oggi alla guida del Movimento, con ruolo discreto ma presente del presidente della Camera Fico.

Insomma un disastro, anche Salvini resta a capo del partito più forte e Di Maio resta al governo. Hanno avuto per un anno la politica italiana nelle loro mani (in condivisione). Ma hanno preferito litigare anziché agire di concerto.

Ed ecco il risultato: il professor Conte vara il suo secondo governo con il Pd (e la benedizione del Quirinale). Amen.

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