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Cari Conte e Di Maio, non dimentichiamo la Tunisia. Parla Mercuri

Fare previsioni su come andrà a finire il primo turno delle elezioni presidenziali in Tunisia non è semplice e anzi, potrebbe riservare grosse sorprese. A crederlo è Michela Mercuri, docente di Paesi mediterranei all’Università di Macerata che in una conversazione con Formiche.net approfondisce contraddizioni e opportunità che il Paese nordafricano dovrà affrontare nei prossimi mesi. “È sicuramente molto triste notare il disinteresse italiano nei confronti di ciò che accade nella vicinissima e fondamentale Tunisia – spiega Mercuri -. È un Paese fondamentale per l’Italia per tantissimi motivi”.

Che Tunisia è andata a votare oggi?

Innanzitutto va precisato che dopo la riforma costituzionale del 2014 la Tunisia è passata da un sistema presidenziale con un Capo di Stato con poteri praticamente illimitati a un sistema simile a quello del semipresidenzialismo francese con un ruolo maggiormente bilanciato dall’esecutivo. Alcuni candidati stanno spingendo per un sistema presidenziale più forte, soprattutto l’ex ministro della Difesa che è appoggiato dal partito Nidaa Tounes. Lui ha chiesto in particolare il ritorno a un sistema presidenziale più forte proprio per contrastare le altre forze politiche, come quelle islamiste di  al-Nahda. Questo favorirebbe la figura del presidente dandogli maggiori prerogative in molti ambiti, come ad esempio quello della difesa e della sicurezza, ma anche in campo economico.

Come si riflette questo sulla popolazione?

Sicuramente questi 5 anni di governo che stanno per concludersi non hanno visto grossi miglioramenti concreti nelle condizioni economiche e sociali del Paese. Non sono stati capaci, infatti, di superare le disparità regionali e apportare serie riforme al sistema economico. Questo stato delle cose si riflette anche sullo stato d’animo dei cittadini.

In che modo?

Secondo un sondaggio effettuato alla fine del 2018 dall’International Republican Institute tunisino il numero di tunisini che ritiene la democrazia il miglior tipo di governo è sceso dal 70% del 2013 al 40% del 2019 e molti vorrebbero addirittura un sistema monopartitico. Quindi sicuramente un sistema presidenziale più forte in qualche modo è auspicato anche da una parte della cittadinanza.

I candidati per questa prima fase sono 26. Cosa dice questo numero sullo stato della democrazia tunisina?

Il fatto che vi siano 26 candidati in questa prima fase delle elezioni ci dimostra come in campo vi siano tutte le anime del Paese, anche per il malcontento che gli ultimi 5 anni questo governo di coalizione tra islamisti e laici ha generato a causa delle divergenze interne. Ci sono i tradizionalisti, ci sono i candidati indipendenti, ci sono i candidati di rottura rispetto alla politica tradizionale, come ad esempio Nabil Karoui, il magnate delle telecomunicazioni, una persona di spicco. Poi c’è il candidato di Ennahda che ha messo in campo il numero 2 del partito, una figura di primo piano come Abdelfattah Mourou. Il risultato si saprà solo quando ci sarà il ballottaggio, ma è chiaro che i primi risultati daranno qualche indicazione.

Possiamo aspettarci delle sorprese?

Credo di sì, perché in realtà mi pare di capire che in questo momento la polarizzazione tra islamisti e laici sembra quasi lasciare il posto a una dialettica tra partiti tradizionali e partiti non tradizionali. Questo apre spazi di inserimento a partiti che non hanno dominato la scena politica, in segno di rottura con i fallimenti del passato. Malcontento e novità del panorama politico rendono molto difficile fare previsioni.

Prima ha parlato del malcontento per gli ultimi 5 anni di governo. Ci spiega meglio a cosa è dovuto?

L’incertezza su queste elezioni dipende anche dal malcontento che persiste nella società tunisina, soprattutto per le performance economiche molto deludenti che si sono registrate nel Paese negli ultimi anni. Performance negative che sono trainate dal turismo, che dopo gli attentati che ci sono stati nel Paese (soprattutto quelli del 2015) ha registrato un forte tasso di decrescita e una conseguente disoccupazione, soprattutto tra i giovani.

Di che numeri parliamo?

Il tasso di disoccupazione tunisino è del 15% ma quella giovanile è arrivata a toccare il 40% facendo della Tunisia uno dei paesi nordafricani con il tasso più alto di giovani inoccupati. A questo fa da contraltare un dato altrettanto allarmante.

Quale?

Il fatto che molti giovani tunisini hanno un alto livello di istruzione crea un ulteriore malcontento tra queste fasce della popolazione e ha dato vita anche di recente a molte rivolte, specie nelle aree periferiche dove è gravissima la carenza di posti di lavoro. Questo ha chiaramente anche alimentato la percentuale di giovani che scelgono di emigrare verso le coste italiane, con l’ambizione di arrivare in Europa per costruirsi un futuro migliore. Stiamo parlando anche dei cosiddetti sbarchi fantasma, che sono notevolmente aumentati negli ultimi anni. Inoltre, ad essere aumentata è anche la radicalizzazione dei giovani tunisini. Bisogna infatti ricordare che la Tunisia è uno dei principali luoghi di provenienza dei foreigh fighters che sono andati a combattere nei teatri levantini e che in questo momento stanno tornando a casa.

Come sono in questo momento i rapporti tra Italia e Tunisia?

È sicuramente molto triste notare il disinteresse italiano nei confronti di ciò che accade nella vicinissima e fondamentale Tunisia. È un Paese fondamentale per l’Italia per tantissimi motivi, innanzitutto dal punto di vista migratorio. Si parla spesso di migrazioni dalla Libia ma bisogna ricordare che in questo momento molti migranti arrivano dalle coste tunisine.

Di che numeri parliamo?

L’anno scorso sono arrivati circa 3000 migranti, di cui solo 400 identificati. Voglio ricordare che l’Interpol ha documentato che proprio nel 2018 di 50 sospetti jihadisti arrivati tra luglio e settembre proprio attraverso questa nuova rotta. Una notizia poi smentita dal governo italiano, ma che insinua qualche dubbio.

Quali altri ragioni dovrebbero spingere l’Italia a interessarsi del Paese?

La Tunisia è importante per noi, e questo stentiamo a capirlo, per motivi economici. L’Italia è il secondo partner commerciale della Tunisia con oltre 890 imprese e un volume di scambi commerciali di 16 miliardi di dinari nel 2018. Per la Tunisia poi l’Italia rappresenta il primo partner commerciale e un punto di riferimento importante per sviluppare nuovi business. Questo è emerso anche di recente durante il forum italo-tunisino che si è svolto a Tunisi nel giugno del 2019, che è passato praticamente inosservato.

Cosa è emerso?

La Tunisia ha presentato le opportunità di investimento offerte ai possibili partner stranieri ribadendo anche l’importanza di accordi in essere con l’Italia, come ad esempio il memorandum del 9 febbraio 2017 siglato a Roma che definiva un programma chiaro di cooperazione per il 2017-2020 e per cui tra l’altro erano stati concessi dall’Italia 165 milioni di euro per l’attuazione di progetti di sviluppo. E voglio aggiungere un altro dato.

Prego.

La Tunisia può aprirci a un mercato regionale di oltre 800 milioni di consumatori del mercato africano e mediorientale. Un esempio: la Tunisia è il primo esportatore mondiale di datteri, il secondo produttore africano di componentistica automotive, e uno dei maggiori fornitori in ambito tessile (primo esportatore di jeans in Italia), e sono solo alcuni esempi che fanno capire l’importanza di questo Paese per l’Italia. Terrorismo, immigrazione e soprattutto supporto alle nostre aziende sono tre ottime ragioni per aprire un dialogo serio con questo Paese.

I disordini libici si ripercuotono sulla Tunisia?

Oggi con la guerra che è in corso a Tripoli – il generale Kalifa Haftar è avanzato verso Tripoli mettendo a ferro e fuoco la città con una energica risposta di Sarraj e dei misuratini – ci sono effetti di destabilizzazione sui centri di detenzione libici. Molti migranti sono in fuga e si stanno spostando a piedi verso le zone confinanti con la Tunisia. La frontiera tra la Tunisia e la Libia ha rappresentato per tanto tempo una vera e propria terra di nessuno e solo di recente il ministro della difesa tunisino ha investito circa 18 milioni di euro per rafforzare il pattugliamento dei confini. A questi soldi sono stati poi aggiunti degli aiuti esterni forniti dall’occidente, ad esempio l’anno scorso Stati Uniti e Germania hanno deciso di stanziare 50 milioni di dollari per dotare la Tunisia di strumenti di rilevamento ad alta tecnologia per rafforzare le misure di sicurezza nel Paese. Questo dimostra ancora una volta l’importanza che riveste anche per i Paesi occidentali.

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