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Nato, Ue e Africa. La strategia “notevole” di Conte spiegata da Stefanini

“Notevole per logica e strategia”, per l’ordine di priorità enunciate e per la “rinfrescante e necessaria” conferma della centralità dei rapporti transatlantici e della partecipazione alla Nato. È il giudizio (positivo) sulle linee di politica estera tracciate da Giuseppe Conte nel suo discorso a Montecitorio, espresso a Formiche.net dall’ambasciatore Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi, già consulente diplomatico del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e rappresentante permanente per l’Italia all’Alleanza Atlantica. Dal Mediterraneo alla Cina, passando per la Russia e l’Africa, il presidente del Consiglio ha toccato vari aspetti della postura internazionale del Paese, con una gerarchia che è sembrata diversa rispetto a quella esplicitata solo pochi giorni fa da Luigi Di Maio, nuovo capo della Farnesina.

Ambasciatore, Conte ha ribadito che la collocazione euro-atlantica rappresenta il pilastro della politica estera italiana. Un riferimento superfluo oppure una conferma che ci voleva?

Repetita iuvant. Il riferimento era assolutamente necessario, rassicurante, quasi rinfrescante dopo quindici mesi in cui abbiamo sentito parlare di politica estera, non dal presidente del Consiglio ma da altri, attraverso svarioni, sbandate, correzioni di rotta, mezze affermazioni e contraddizioni. Ribadire i pilastri – esattamente quelli enunciati dal premier oggi – era per questo assolutamente fondamentale. Mi è sembrato un discorso di politica estera da manuale. Lo si può considerare privo di particolari novità, ma d’altronde la politica estera si fa sulla base di interessi nazionali di lunga scadenza. Diventa pericoloso quando si pensa di poter improvvisare.

E per quanto riguarda i riferimenti a Mediterraneo allargato, Libia e Balcani?

Ottimi gli accenni ai dossier regionali, sui quali abbiamo assistito a una certa disattenzione. Non tanto per il Mediterraneo, in cui la Libia ci ha impedito di essere disattenti, quanto per i Balcani, in cui abbiamo un ruolo – che sempre abbiamo avuto – importante da giocare. Tanti Paesi balcanici ci guardano con attenzion, e sono sicuro che si saranno sentiti molto rassicurati da questo discorso.

Il presidente ha anche citato “l’imprescindibile legame con Stati Uniti”.

Su questo sarà importante tenere ben bilanciato l’impegno europeo e l’impegno transatlantico. Con l’amministrazione Trump potrà essere difficile, viste le tensioni tra Unione europea e Stati Uniti, ma ciò non sarà una colpa di Conte, quanto un problema per qualsiasi governo europeo. Ci sono tensioni chiare nel campo commerciale attraverso le quali il nuovo esecutivo dovrà orientarsi, tenendo conto che entrambi i due canali, europeo e atlantico, restano una priorità fondamentale della nostra politica estera.

Conte ha aperto anche ai rapporti con Russia e Cina, ma evidenziando che “dovranno essere declinati, sempre e comunque, con modalità compatibili con la nostra vocazione euro-atlantica”. È una rassicurazione dopo i timori arrivati da oltreoceano per una inclinazione a Oriente? 

Il riferimento è al fascino cinese, dato che l’Italia è stato il primo Paese Ue a sottoscrivere un memorandum nell’ambito della Nuova via della Seta. Per quanto riguarda la Russia, il problema della compatibilità di politica estera è conosciuto da tempo; tutti i governi, di centro-destra e di centro-sinistra, hanno avuto l’esigenza di assicurare la compatibilità tra il dare priorità a Ue e Nato e, parallelamente, avere buoni rapporti con la Russia. Guardando a posteriori, siamo sempre riusciti e tenerci in equilibrio, a volte attraverso delle acrobazie verbali.

E con la Cina?

Con la Cina è un problema relativamente nuovo. Fino a poco tempo fa, era vista come un partner economico con cui rafforzare i rapporti senza che ciò ci mettesse in difficoltà con Europa o Stati Uniti. Oggi ciò è cambiato per due ragioni. Primo, perché la Cina ha ambizioni di presenza mondiale, di cui la Nuova via della Seta è l’esempio più evidente per l’Europa che, vista la creazione di infrastrutture capaci di creare vincoli di dipendenza, ora chiede una certa valutazione. Secondo, perché la rivalità principale per la supremazia planetaria non è più tra Russia e Usa, ma tra Cina e Usa. Tra l’altro, non è più soltanto una competizione tra le maggiori economie globali, ma anche un confronto con risvolti di sicurezza che, fino ad ora, avevamo potuto ignorare perché in un’area del mondo in cui non abbiamo una presenza significativa. Di conseguenza, oggi il problema di bilanciare i rapporti con Washington e Pechino si pone chiaramente. Bene ha fatto Conte a mettere sullo stesso piano Russia e Cina. Nel momento in cui si stabilisce l’ordine di priorità, viene prima la postura euro-atlantica, poi le esigenze regionali, e poi il resto del mondo, compresa l’India, citata dal presidente del Consiglio, e le altre potenze emergenti.

Sembra quasi un discorso strategico…

Direi di sì. È stato un discorso notevole sotto tanti punti di vista per quanto riguarda la politica estera. Logico e strategico, anche rispetto ai precedenti governi. Bisogna andare parecchio indietro, forse addirittura a Gianni De Michelis all’inizio degli anni 90 – quando era in prospettiva la disgregazione del fronte sovietico – per trovare discorsi di simile visione strategica. Anche il riferimento all’Africa nel terzo livello di priorità è corretto. Si tratta del continente emergente, in cui possiamo vantare buoni rapporti e in cui si origina un problema avvertito da noi in maniera particolare.

Mi lasci manifestare, da ex diplomatico come tanti che hanno lavorato su queste direttrici di politica estera, la mia soddisfazione per sentirle così esplicitate dal presidente del Consiglio. Mi pare un giusto riconoscimento anche all’esperienza di chi, tra i suoi consiglieri dell’ufficio diplomatico, a partire dall’ambasciatore Pietro Benassi, lo ha assistito nei precedenti mesi di governo in una situazione in cui la politica estera è stata spesso strattonata da tante parti. Fa piacere, dopo tanto tempo in cui si è sentito dire che gli esperti non contano, veder riconosciuto il valore dell’esperienza e della competenza. I tecnici non si sostituiscono ai politici. Sono i secondi a decidere, ma è bene che prima ascoltino i primi sulla base dell’esperienza che possono offrire.

Considerando l’ordine di priorità che ha descritto, ritiene che Conte abbia voluto inviare un segnale anche al neo capo della Farnesina, Luigi Di Maio, che aveva individuato in “Africa e migrazioni” le priorità del suo mandato?

Non so se sia un messaggio a Di Maio, ma sicuramente è un riordino di priorità. L’Africa è decisamente importante, ma è incommensurabilmente superiore la rilevanza che hanno per la nostra politica estera i legami con l’Europa e il rapporto transatlantico, specialmente l’adesione alla Nato che rappresenta la nostra assicurazione sulla vita in termini di sicurezza. L’immigrazione è solo marginalmente una questione di politica estera. È un problema europeo, che si lega per noi anche all’esigenza di compensare una difficile questione strategica: il calo demografico. Che piaccia o no, se chiudessimo la frontiera ci ritroveremmo in vent’anni privi di forze manuali per restare in piedi. Certo, ciò non vuol dire che le migrazioni non debbano essere controllate, monitorate e selezionate.

Tornando alle fascinazioni orientali, i timori americani riguardano anche il 5G. Il primo Consiglio dei ministri giallorosso ha esercitato il golden power su alcune notifiche presentate dalle telco in relazione ai contratti di fornitura stipulati con fornitori tra cui le cinesi Huawei e Zte. Un segnale concreto agli alleati atlantici?

Assolutamente sì. Tanto più che il golden power nel campo delle telecomunicazioni era nell’agenda del Consiglio dei ministri già con il precedente esecutivo. È un segnale chiarissimo. Non significa mettere al bando Huawei, ma piuttosto scegliere bene come esercitare un vaglio prima che entri nelle reti strategiche per il Paese.

Tra l’altro, Donald Trump ha dato il suo supporto al Conte 2 con il famoso tweet del ‘Giuseppi’. Sarà ora il presidente del Consiglio il gestore della relazione speciale?

Mi sembra di sì. Il rapporto con gli Stati Uniti si muove sempre su due dimensioni. I legami di routine sono gestiti a livello di dipartimento di Stato, ministero degli Esteri e altre amministrazioni. Poi c’è il rapporto politico che viene gestito direttamente dalla Casa Bianca, ed è questo ad essere stato particolarmente accentuato con l’attuale presidente. Avendo ricevuto un endorsement così esplicito da Trump, è chiaro che sarà Conte il gestore di tale rapporto.

Eppure, nella precedente esperienza di governo era la Lega a vantare una certa affinità con l’amministrazione Trump.

È vero, e questo rapporto resta tutt’ora a livello di affinità ideologica. Tuttavia, è altrettanto vero che tale affinità era temperata da varie diffidenze americane, tra cui soprattutto il rapporto con la Russia. Il tentativo di Matteo Salvini di realizzare una quadratura del cerchio tra Mosca e Washington non è riuscito, e ad oggi pare rimanere impossibile, anche se Conte ha la possibilità di diventare nel G7, insieme a Emmanuel Macron, la spalla di Trump per riammettere Vladimir Putin tra i grandi. Su tale partita, però, il presidente Usa ha contro tutto l’establishment della politica estera washingtoniana.

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