Il primo un contratto, il secondo un indirizzo programmatico con linee guida (almeno per ora). Un testo di oltre 50 pagine il contratto con la Lega, tre scarse il programma con il Pd. E poi i contenuti, ancora in evoluzione e aggiornamento, ma che prefigurano un approccio diverso sul come affrontare i diversi temi. Sono online i punti programmatici su cui si baserà l’esecutivo formato da Giuseppe Conte con il sostegno di Movimento 5 Stelle e Partito democratico, ma quali sono le differenze dall’accordo firmato con la Lega di Matteo Salvini? E quali i punti di contatto?
Oltre un anno fa, all’indomani del voto che certificò il miglior risultato mai ottenuto dal Movimento 5 Stelle alle elezioni politiche, Luigi Di Maio incaricava il professore Giacinto della Cananea di trovare affinità e convergenze tra la sua forza politica e i due partiti con cui, in quel momento, aveva l’opportunità di formare un governo: Partito democratico e Lega. Arrivato al termine del suo lavoro, il professore pubblicò 10 punti programmatici da cui era possibile partire, ma sottolineò che “il punto di fondo è chiaro: le divergenze che si sono manifestate ben prima dell’ultima campagna elettorale, riguardano temi e problemi tra quelli più rilevanti per l’azione dello Stato, all’interno e all’esterno, e sono quindi tali da rendere ardua la formazione di un governo coeso”. Quello che successe dopo è cronaca: la chiusura del dialogo con i 5 Stelle da parte di Matteo Renzi aprì la strada all’alleanza tra 5 Stelle e Lega, che portò al cosiddetto “Contratto di governo” e alla nascita del governo gialloverde.
Il contratto di governo si apriva con una clausola: “Le parti si impegnano ad attuare questo accordo in azioni di governo, nel rispetto della Costituzione Repubblicana, dei principi di buona fede e di leale cooperazione e si considerano responsabili, in uguale misura, per il raggiungimento degli obiettivi concordati. Si impegnano a garantire la convergenza delle posizioni assunte dai gruppi parlamentari”. Nessuna clausola è prevista, invece, nell’accordo – più meramente politico – tra Partito democratico e M5S, ma la leale collaborazione viene richiesta da ambo le parti, al momento a lavoro assieme al presidente (incaricato) Giuseppe Conte, firmatario della bozza programmatica diffusa oggi da M5S.
Principali differenze quelle relative ai temi sensibili che hanno messo più volte in difficoltà il governo gialloverde: l’immigrazione al punto 15 – “È indispensabile promuovere una forte risposta europea al problema della gestione dei flussi migratori, anche attraverso la definizione di una normativa che persegua la lotta al traffico illegale di persone e all’immigrazione clandestina, ma che – nello stesso tempo – affronti i temi dell’integrazione. La disciplina in materia di sicurezza dovrà essere aggiornata seguendo le recenti osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica”; l’autonomia differenziata al punto 17 – “È necessario completare il processo di autonomia differenziata giusta e cooperativa, che salvaguardi il principio di coesione nazionale e di solidarietà, la tutela dell’unità giuridica e economica. Occorre inoltre avviare un serio piano di riorganizzazione degli enti locali, sopprimendo gli enti inutili” e politiche economiche e fiscali redistributive.
Poco spazio alla politica estera nel programma Pd-M5S, se non con numerosi richiami all’Unione europea che però poco fanno comprendere del posizionamento che il nuovo esecutivo intende perseguire. Il contratto di governo gialloverde sottolineava invece “l’appartenenza all’Alleanza atlantica, con gli Stati Uniti d’America quale alleato privilegiato, con una apertura alla Russia”. “A tal proposito – proseguiva -, è opportuno il ritiro delle sanzioni imposte alla Russia, da riabilitarsi come interlocutore strategico al fine della risoluzione delle crisi regionali (Siria, Libia, Yemen)”. La Russia, inoltre, non era considerata “minaccia militare, ma un potenziale partner per la Nato e per l’Ue”.
Punto di forte convergenza del nuovo programma, il Green New Deal, al punto 5: “Occorre realizzare un Green New Deal, che comporti un radicale cambio di paradigma culturale e porti a inserire la protezione dell’ambiente tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale”, si legge. “Tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell’ambiente, il ricorso alle fonti rinnovabili, la protezione della biodiversità e dei mari, il contrasto dei cambiamenti climatici. Occorre adottare misure che incentivino prassi socialmente responsabili da parte delle imprese. Occorre promuovere lo sviluppo tecnologico e le ricerche più innovative in modo da rendere quanto più efficace la “transizione ecologica” e indirizzare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare”.
Insomma, i punti programmatici su cui si baserà – se nascerà – il nuovo esecutivo lasciano ampio spazio al dialogo tra le forze politiche che si impegnano a formare il governo. Non un contratto vincolante, dunque, ma una dichiarazione di intenti, su cui entrambe le forze politiche giocheranno la credibilità davanti ai cittadini.