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Perché sui dazi Trump predica bene ma razzola male. Parla Fitoussi

Colpo al ventre dell’Europa. I dazi che il Dipartimento per il Commercio degli Stati Uniti promette di imporre sull’export europeo dopo il verdetto della World Trade Organization lasceranno il segno sui settori di punta del Vecchio continente, dall’aereo all’automobilistico fino all’agroalimentare, dunque anche il made in Italy. Tutto nasce dalla decisione presa dalla stessa Wto nel 2016 di riconoscere come illegali i maxi-sussidi dei Paesi membri Ue alla francese Airbus a danno della concorrenza americana di Boeing. “Era semplice politica industriale, Trump e gli Stati Uniti sono i primi a fare lo stesso” commenta con Formiche.net Jean-Paul Fitoussi, economista francese di fama internazionale, oggi in forza alla Luiss School of Government e all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi.

Professore, quegli aiuti ad Airbus furono un errore?

Non scherziamo. Non si può avere una politica industriale senza qualche sussidio agli investimenti, anche se per un tempo limitato. Ci sono tanti casi che lo dimostrano.

Ad esempio?

Cinquant’anni fa la Banca Mondiale ha elargito un prestito al Giappone per lo sviluppo della sua industria automobilistica accompagnato da un’autorizzazione al protezionismo di durata decennale. Grazie a questa copertura il Giappone ha rilanciato il settore e ha costruito macchine più efficienti battendo la concorrenza internazionale. Si chiama politica industriale. Trump la conosce fin troppo bene.

Perché?

Semplice, fanno lo stesso negli Usa. Tutto il comparto delle nuove tecnologie, che costituisce per il Paese un monopolio di fatto nel mondo, deve il suo straordinario sviluppo ai sussidi del Dipartimento della Difesa. Degli stessi sussidi usufruisce il settore agroalimentare. Quello americano non è un libero mercato.

Quindi l’affaire Airbus è solo un casus belli?

Un pretesto. Trump ha chiarito dall’inizio di voler proteggere l’economia e il lavoro degli americani. Una strategia in teoria giusta che però ha una falla. Gli altri Paesi non sono fessi e iniziano a fare lo stesso, dando il via a una guerra commerciale dagli esiti imprevedibili. Chiunque sia entrato in questo gioco non ne è uscito indenne.

La Wto ha già dato ragione all’Ue nel caso Boeing. Questa primavera deciderà l’entità dei dazi imponibili sull’export made in Usa.

Sono sicuro che l’Ue risponderà al fuoco, ma non è questa la priorità. Preferirei che assumesse un atteggiamento più dinamico e iniziasse ad attaccare gli Stati Uniti su tutti i prodotti che sussidiano, non solo su Boeing. Ci sono tanti altri settori, penso ad aziende hi-tech come Microsoft, Facebook, Amazon.

La Silicon Valley. Quella che Emmanuel Macron ha colpito con una digital tax mandando su tutte le furie Trump.

Non l’ha fatto solo con la Silicon Valley ma con tutte le aziende europee e non. Queste grandi imprese non pagavano le tasse dovute in Europa. Avevamo la coabitazione di due categorie diverse d’impresa: quelle americane che non pagavano le tasse e quelle europee che invece erano costrette a farlo. È stata ripristinata un po’ di giustizia del sistema.

Sullo sfondo rimane la guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina. Un armistizio è nell’interesse dell’Ue?

Ovviamente. È nell’interesse di tutti, da quando il confronto fra Washington e Pechino è iniziato abbiamo assistito a un rallentamento del commercio mondiale. Questa frenata è alla base della recessione europea, penso alla Germania che non riesce più a vendere le sue automobili. Le guerre commerciali sono sempre un gioco a somma negativa, come le guerre a suon di tassi di cambio.

A proposito, in un’intervista al Financial Times Mario Draghi sostiene che l’unico modo per rilanciare la crescita europea è aumentare la spesa pubblica. Concorda?

Pienamente, Draghi è l’unico uomo politico in Europa che ha ragione. L’unico ad aver capito che serve una combinazione di politiche monetarie e di bilancio. Un mix armonizzato, non contraddittorio. Oggi l’Ue ha una politica monetaria espansiva e una politica di bilancio restrittiva, che annulla i guadagni della prima. Per rilanciare la crescita serve colmare questo gap.

Christine Lagarde farà sua questa linea alla Bce?

Non mi preoccupo molto, un anno fa il Fondo monetario internazionale sotto la sua guida si era espresso nella stessa direzione. Il vero tema è semmai un altro: avrà lo stesso coraggio di Mario Draghi? Oggi ci sono tanti politici competenti. Di coraggiosi ne sono rimasti pochi.

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