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Elezioni in Israele. L’ultima zampata di Netanyahu

Ancora Bibi: nonostante Benjamin Netanyahu sia stato considerato il vero sconfitto alle ultime elezioni politiche, va verso un nuovo incarico dopo il nulla di fatto di Gantz. Ha chiesto la rapida formazione di un ampio governo di unità, dicendo che era necessaria “la riconciliazione nazionale” alla luce delle minacce provenienti dall’Iran e dello svelamento del “patto del secolo” sulla pace che sarà presto annunciato dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.

IMPASSE

Non è una metamorfosi, quella di Netanyahu, semmai una conferma. Il mandato affidatogli dal presidente Reuven Rivlin va proprio in questa direzione. Ovvero nel voler certificare, anche davanti agli occhi dei suoi avversari politici (oltre che di quelli interni) che resta perno centrale della politica e della vita di Israele. Rivlin lo ha compreso, per questo ha detto che farà tutto il possibile per evitare una terza tornata elettorale, conscio che “Netanyahu ha più possibilità di formare un governo”.

Ma cosa cambia questa volta rispetto al vicolo cieco dello scorso aprile? Dopo le elezioni della scorsa primavera Netanyahu ha una maggiore consapevolezza dei limiti e delle prerogative dei suoi potenziali partner. Intanto ha un sostegno leggermente più ampio nella nuova Knesset rispetto al suo principale rivale Benny Gantz, sostenuto apertamente dai gruppi arabi, anche se il partito Blue and White gode di un seggio in più rispetto al Likud.

UNITÀ

È questa la linea su cui Bibi si muoverà nelle consultazioni, ufficiali e ufficiose, certo che solo una unità di intenti potrà impedire il corto circuito. Ha dalla sua anche l’appoggio dei sondaggi, favorevoli ad una collaborazione in stile GroKo tedesca con Gantz (che però anche ieri ha nuovamente rifiutato le condizioni di Netanyahu). Ha detto testualmente per motivare il proprio no che non è favorevole ad un accordo con il blocco di partiti di destra del primo ministro, o “sedersi in un governo il cui leader stava affrontando una grave accusa”. Nei prossimi 28 giorni dunque Netanyahu tenterà di mediare un accordo, che al momento sconta il principale scoglio relativo alla premiership. Passaggio su cui lo stesso Lieberman chiude, quando precisa che non farà parte di un governo che comprende gli alleati ultra-religiosi di Netanyahu.

MINACCE

Lo schema prevede al momento il tentativo di Netanyahu e, in caso di fallimento, quello di Gantz. Se nemmeno quest’ultimo dovesse essere in grado di formare il governo, allora la maggioranza dei parlamentari potrebbe offrire un terzo nome come primo ministro. Se neanche quella strada fosse percorribile, allora si andrebbe verso lo scenario che Rivlin teme più di tutti, ovvero la terza tornata elettorale in meno di un anno. Da celebrare in un momento delicatissimo sia per le sorti di Israele che per quelle dell’intero versante mediorientale.

Il dosser Iran svetta su tutti, dal momento che a margine dell’Assemblea Generale, il presidente iraniano Rouhani ha nuovamente accusato gli Stati Uniti e Israele di politiche “terroristiche”, affermando che lo stato ebraico prende di mira i palestinesi e i Paesi vicini “su base giornaliera”. Ha inoltre avanzato rivendicazioni terroristiche contro Tel Aviv, dicendo che Israele è il Paese che si prende cura dei combattenti dell’IS feriti e mette a loro disposizione le armi.

La replica israeliana: Israele ha istituito un ospedale da campo per i siriani feriti e ha persino dato alcuni aiuti ai ribelli e un passaggio sicuro fuori dal Paese, respingendo strenuamente qualsiasi connessione con i terroristi del gruppo dello Stato islamico. Ragione in più perché lo stallo politico si risolva in tempi rapidi.

twitter@FDepalo

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