Qualcosa si sta muovendo in Europa, un po’ sottotraccia e come al solito non in direzione favorevole a quella che è la situazione della finanza pubblica nel nostro Paese. Recentemente, infatti, sono state proposte modifiche sia del Patto di Stabilità che del Meccanismo europeo di stabilità (Esm) al fine di rendere le normative più chiare ed evitare possibili interpretazioni o estrapolazioni politiche. È ciò che emerge anche dal documento Ue, intitolato Sgp 2.1 dove si propone di modificare l’attuale misura di ridurre il debito pubblico fino al 60% del Pil attraverso la riduzione di un ventesimo dell’ammontare ogni singolo anno. Questo perché la disposizione precedente si è rivelata troppo difficile da raggiungere per Paesi come l’Italia e pertanto essa viene superata attraverso la flessibilità concessa dalla Commissione. In sintesi, quindi, con la nuova normativa i paesi del nord Europa, e tra questi la Germania, spingono per regole meno severe ma più rigide e semplici che non possono più essere disattese o interpretate attraverso temporanee richieste di flessibilità.
È in quest’ottica che lo scorso 13 giugno è iniziato l’iter di modifica dell’Esm che dovrebbe essere completato entro la fine dell’anno. L’Esm è un fondo permanente con cui gli Stati dell’Eurozona possono gestire le crisi finanziarie dei Paesi. A fronte di specifiche condizioni, l’Esm può concedere prestiti e linee di credito precauzionali, comprare titoli di Stato sul mercato primario e secondario, ricapitalizzare direttamente le banche. L’organo più importante è il board dei governatori, costituito dai ministri delle Finanze dell’Eurozona. Le decisioni più rilevanti, come il sostegno a uno Stato, sono prese all’unanimità. In altri ambiti è sufficiente una maggioranza qualificata. Come riportato nel sito ufficiale, la missione dell’Esm è di fornire assistenza finanziaria ai paesi dell’area dell’euro che vivono minacciati da gravi problemi di finanziamento.
Tale assistenza è concessa solo se si è dimostrata necessaria per salvaguardare la stabilità finanziaria dell’area dell’euro nel suo insieme e dei membri dell’Esm. Per questo, l’Esm conta su diversi strumenti. L’Esm può concedere un prestito nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico, come quello già utilizzato da Cipro e dalla Grecia. Irlanda, Grecia e Portogallo hanno utilizzato programmi simili forniti dall’Efsf (European System of Financial Supervisors). L’unico altro strumento utilizzato è stato un prestito Esm per ricapitalizzare le banche che è stato fornito alla Spagna.
L’idea sarebbe quella di trasformare l’Esm in un Fondo Monetario Europeo, che, tuttavia, interverrebbe in caso di necessità solo qualora il paese richiedente dimostrasse di avere un debito sostenibile e rispettasse i parametri di Maastricht. In dettaglio, la riforma prevede che l’Esm affianchi la Commissione nella valutazione degli stati e che l’intervento possa avvenire in due modalità. La prima, attraverso una linea di credito “precauzionale” limitata solo ai paesi che non sono sotto procedura, hanno i conti pubblici in ordine ed un debito pubblico sotto controllo. La seconda, attraverso una linea di credito “rafforzata” che può essere concessa anche a paesi con i conti non in ordine a patto che vengano rispettate una serie di condizioni vincolanti per quanto concerne il controllo della spesa pubblica e il varo delle riforme (arrivando così ad una situazione simile a quella che ha portato al salvataggio della Grecia con la troika che vigilava sul rispetto delle condizioni concordate).
Nel caso dell’Esm l’intervento, inoltre, riguarderebbe solo quei paesi che dimostrano comunque di avere un debito sostenibile (ad ulteriore garanzia dei paesi europei che contribuiscono al fondo) e all’interno di questa sostenibilità si inquadra anche la riforma delle “Cac” (Clausole di azione collettiva) che facilita la ristrutturazione del debito pubblico posticipando, ad esempio, le scadenze. Il rischio quindi è che si arrivi al paradosso per cui se in caso di necessità il nostro Paese avesse bisogno dell’intervento dell’Esm – il cui capitale sottoscritto è di circa 700 miliardi di euro e che vede l’Italia al terzo posto con un contributo di 125 miliardi di euro sottoscritti, dopo Germania e Francia – rischierebbe di sottostare a condizioni capestro per usufruire di uno strumento a cui contribuisce per una quota rilevante e alquanto significativa.
Sarà di fondamentale importanza una presenza attiva ed informata del governo e dei rappresentanti del nostro Paese al tavolo al fine di evitare il consolidarsi di disposizioni concepite a misura di realtà diverse dalla nostra e che dovrebbero essere ratificate obtorto collo dal Parlamento italiano a cose fatte, come accaduto in passato. Una riforma che ancora una volta sembra essere fatta per venire incontro alle esigenze di alcuni determinati paesi e alle difficoltà che anche questi stanno attualmente attraversando sul piano congiunturale e del rilancio dell’economia reale. Riforme a senso unico possono forse, e non è neanche detto, mettere in sicurezza i conti dell’area euro e rendere più stabile il sistema economico e finanziario dell’eurozona, ma sicuramente aggiungono un’ulteriore crepa a quello spirito di condivisione, collaborazione e cooperazione che ha portato alla creazione prima dell’unione e poi della moneta unica. Forse sarebbe opportuno tenere bene a mente nelle istituzioni europee il prezzo che politiche di corto respiro rischiano di far pagare all’Unione.