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Confronto ai tempi di Francesco: come costruire la fratellanza

Siamo nel tempo in cui si deve affermare la libertà religiosa o nel tempo dell’affermazione della fratellanza umana? Dobbiamo, cioè, imparare a riconoscere il diritto di ognuno a pregare come ritiene preferibile, o a scoprirci parte di un progetto che ci accomuna, ci unisce?

È ruotato intorno a questo bivio il convegno sulla libertà religiosa promosso dall’Associazione Internazionale Giovanni Paolo II e al quale hanno partecipato esperti, professori e leader religiosi dei tre monoteismi. Il convegno però ha fatto registrare in modo inusuale la forza della seconda tendenza, divenuta esplicita al momento del coffee break. È stato allora che si è verificato qualcosa di strano. Relatori e pubblico si sono trovati, come sempre, nella convivialità del caffè e di un momento di socializzazione. Ma quel momento si è trasformato in uno scambio di esperienze, di vita, di incontri, di idee, che non voleva terminare, coinvolgendo tutti, chi aveva già parlato come chi doveva ancora parlare e chi aveva ascoltato e chi era appena giunto per ascoltare. Ogni esperienza si sentiva viva nell’esperienza dell’altro. Sparite relazioni e ruoli “oratore-uditorio” ci si è ritrovati in una sorta di sinodo, cioè un cammino comune tra persone che dialogavano, interagivano, chiarivano, chiedevano, spiegavano, quasi rifiutando il ritorno alla “normalità” dell’esposizione. C’è voluto tutto l’impegno dei padroni di casa, l’Accademia Alfonsiana, per far riprendere i lavori al posto del colloquio, del racconto, dell’esperienza, dell’interazione.

La fratellanza o il dialogo? Se la sala si era in quel modo pronunciata per la prima opzione, le parole di Papa Francesco, citato dal direttore dell’Osservatore Romano, Andrea Monda, hanno fatto capire a molti che quella scelta non era stata una fuga in avanti, ma una presa di consapevolezza. Infatti a chi gli ricordò che firmando un documento congiunto con il grande imam di al-Azhar aveva compiuto un atto storico, il papa – ha ricordato Monda – fece presente che la storia si fa in ogni incontro, con ogni persona. Il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, è partito proprio da qui, dall’esigenza di andare avanti, di fare ogni giorno la storia, la storia della fratellanza. Riconoscersi come alberi che creano l’ossigeno dell’ecologia altrui è essenziale per non vivere il dialogo con un qualcosa di statico, e la libertà dell’altro come qualcosa di nostro. L’Imam Salah Ramadan, docente al Cairo, in un forbitissimo italiano è riuscito a rendere “islamica” questa visione, ricordando che nel Corano si dice che Dio ci ha creati diversi, in popoli e tribù, perché ci conoscessimo meglio.

È stato un momento molto delicato per l’idea totalizzante che sovente si dà dell’Islam. L’accademico di fede ebraica intervenuto al posto dell’indisposto David Meghnagi ha rilanciato il tema in tutti i campi, ricordando un documento rabbinico del 2016 che parla espressamente di amore universale, avvalorando il dialogo anche teologico con i cristiani. Dunque il punto di snodo è la frase contenuta nella dichiarazione per la fratellanza firmata da Francesco e dall’imam di al-Azhar, Ahmad Tayyeb, ad Abu Dhabi il 4 febbraio di quest’anno, citata più volte proprio per le difficoltà che la sua ricezione ha avuto in tanti settori dei mondi coinvolti: “Ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi. Per questo si condanna il fatto di costringere la gente ad aderire a una certa religione o a una certa cultura, come pure di imporre uno stile di civiltà che gli altri non accettano”. È qui il salto di logica, già compiutamente compreso ed espresso nella dichiarazione conciliare Nostra Aetate, che mette in crisi tutti i fondamentalisti, in modo assai simile delle religioni universaliste. Se il mio compito è convertire tutti all’Islam o al cristianesimo per salvarli, come è possibile che la diversità sia parte del disegno di Dio? Questa eccezione presentata da molti sembra proprio che faccia Dio a nostra immagine e somiglianza, non noi a immagine e somiglianza sua.

Fare la storia in tempi così ardui, o a dir poco complessi, non è certo facile, ma a sentire molti interventi vi siamo chiamati tutti ogni giorno, con i nostri atti, le nostre scelte, i nostri comportamenti. Cambiare registro rispetto al confronto di ieri richiede molto, ma aiuterebbe ancor di più, visto che già nel 1925 Luigi Pirandello avvertiva che “gli uomini non si uniscono qua è là per farsi compagnia, ma si accampano gli uni contro gli altri per farsi la guerra”.



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