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Francesco e le ideologie rigide (che pensano allo scisma). L’analisi di Cristiano

Il rischio di uno scisma nella Chiesa cattolica, rischio sussurrato da tempo, c’è davvero? “Prego perché non ci siano degli scismi, ma non ho paura.” Il papa dello sviluppo umano integrale, il papa cioè che con la visione propria di Paolo VI dello sviluppo umano integrale riconnette la Chiesa cattolica post-conciliare con lo spirito proprio del Concilio, lo sviluppo umano integrale, ne ha parlato così rientrando in Italia da un viaggio lungo e poco capito, il viaggio dello sviluppo umano integrale tra i marosi della guerra civile – Mozambico – della devastazione ambientale – Madagascar – della fratellanza – Mauritius. In aereo gli hanno chiesto se gli attacchi sempre più scomposti che giungono da settori della Chiesa guidati da ambienti statunitensi possano condurre a uno scisma. E lui, dopo aver ricordato che le critiche sono il sale della vita se formulate con chiarezza, onestà, trasparenza e spirito costruttivo, precisa che prega che lo scisma non ci sia perché ne andrebbe del benessere spirituale di tante persone. “Per esempio le cose sociali che dico, sono le stesse che ha detto Giovanni Paolo II, le stesse! Io copio lui. Ma dicono: il Papa è comunista… Entrano delle ideologie nella dottrina e quando la dottrina scivola nelle ideologie, lì c’è la possibilità di uno scisma”.

Dunque dopo mesi che si parla di complotto, di tentativi di sabotare l’epocale sinodo sull’Amazzonia, di cui il viaggio africano è stato una sorta di antipasto, Papa Francesco non tergiversa, non gira intorno alle parole, non nasconde. I suoi detrattori a volte, il più delle volte, lo fanno. E infatti lui chiarisce che non si tratta solo di alcuni “americani”, ma di alcuni di tante provenienze, anche curiale. Ma cosa li unisce? La domanda posta non lo chiede, ma il Papa lo dice. “C’è l’ideologia della primazia di una morale asettica sulla morale del popolo di Dio. I pastori devono condurre il gregge tra la grazia e il peccato, perché la morale evangelica è questa. Invece una morale di un’ideologia così pelagiana ti porta alla rigidità, e oggi abbiamo tante scuole di rigidità dentro al Chiesa, che non sono scismi ma vie cristiane pseudo scismatiche, che finiranno male. Quando voi vedete cristiani, vescovi, sacerdoti rigidi, dietro ci sono dei problemi, non c’è la santità del Vangelo. Per questo dobbiamo essere miti con le persone che sono tentate da questi attacchi, stanno passando un problema, dobbiamo accompagnarli con mitezza”.

Qui è molto importante chiarire bene, perché grazia, peccato, pelagianesimo non sono necessariamente concetti familiari a tutti. L’eresia pelagiana nega il peccato originale. Adamo ed Eva mangiarono il frutto proibito, ma ciò ebbe conseguenze solo per loro stessi. Se il neognosticismo esprime un’eresia per la quale Dio non si è incarnato il neopelagianesimo esprime l’eresia per la quale l’uomo non ha bisogno di Dio, può fare tutto da solo. Ha scritto tempo fa su Avvenire Roberto Righetto per dire chi siano i neopelagiani: “Chi osserva rigidamente le regole e così si sente superiore; chi invece di annunciare il Vangelo si mette a classificare gli altri, siano credenti o no; chi rimarca solo penitenza e sacrificio dimenticando la gioia della fede; chi diventa preda di un elitarismo narcisista e autocompiaciuto; chi ha fiducia solo nelle strutture e nelle pianificazioni astratte, ignorando la concretezza della vita”.

Ecco allora che i neopelagiani li vediamo all’opera contro Bergoglio dai tempi del sinodo sulla famiglia, quando insorsero contro Amoris Laetitia, l’esortazione apostolica post sinodale che non fa dei divorziati risposati dei mostri da condannare per l’eternità della loro vita. Un’eresia, ovviamente, visto che dopo averli definiti “pubblici infami” la Chiesa ha cambiato registro con Giovanni Paolo II, modificando il codice di diritto canonico e sancendo che fanno parte della Chiesa. Quel che dunque è importante capire è lo sviluppo, il capire nuovamente quel che si pensava di aver capito. “I tempi cambiano…” disse una volta Francesco, aggiungendo che come i tempi anche i cristiani cambiano, nella fedeltà al Vangelo, ma leggendo i segni dei tempi. I neopelagiani no, loro evidentemente ritengono che nell’osservanza delle regole c’è una superiorità, e i superiori non si mischiano con gli inferiori. “La morale cristiana – disse Francesco anni fa incontrando Cielle – non è non cadere mai, ma rialzarsi sempre”, grazie alla mano che ci tende Gesù per aiutarci.

È per questo che può dire di pregare perché non ci sia lo scisma, ma di non temerlo. Perché rimanere fermi alla lettera dei testi non è un servizio agli altri, al massimo è un chiedere agli altri di servirci. Ma c’è qualcosa che Francesco teme: e lo ha detto chiaramente proprio durante la conferenza stampa in aereo. Lo ha detto parlando della messa che ha celebrato in Madagascar, della gioia e della tristezza: “Alla messa allo stadio sotto la pioggia c’era il popolo. E danzavano sotto la pioggia ed erano felici. E anche alla Veglia notturna. Dicono che ha sorpassato il milione. È il dato ufficiale. Non so. Io dico che erano un po’ meno, facciamo 800mila. Ma il numero non interessa. Interessa il popolo, gente che era arrivata a piedi, dal pomeriggio prima, è stata alla Veglia, e ha dormito lì. Io ho pensato a Rio de Janeiro nel 2013, quando dormirono sulla spiaggia, e pensavo al popolo. Volevano stare con il Papa. Io mi sono sentito umiliato, piccolissimo, davanti a questa grandiosità della sovranità popolare. E qual è il segno che un gruppo di gente è popolo? La gioia. C’erano dei poveri, c’era gente che non aveva mangiato quel pomeriggio, per stare lì, ma erano gioiosi. Invece quando i gruppi o persone si staccano da quel senso popolare della gioia, perdono la gioia. È uno dei primi segnali, la tristezza dei soli. La tristezza di coloro che hanno dimenticato le loro radici culturali. Il popolo. Avere coscienza di essere un popolo è avere coscienza di una identità, di avere un modo di capire la realtà”.

Parlava ai popoli di questa Europa vecchia? Di questa Europa chiusa? Di questa Europa impaurita, smarrita, isolata? Può essere che parlasse anche a noi: di certo non parlava solo a chi va tutte le domeniche in Chiesa. Parlava anche ad altri credenti, o a chi cerca il suo modo di essere “uomo di buona volontà”. Infatti soffermandosi sulla sua breve visita a Mauritius ha detto: “A Mauritius mi ha colpito molto la capacità di unità e di dialogo interreligioso. Non si cancella la differenza delle religioni ma si sottolinea che tutti siamo fratelli e tutti dobbiamo parlare. Ma questo è un segnale di maturità del Paese. Parlando con il primo ministro sono rimasto stupito di come hanno elaborato questa realtà, la vivono come necessità di convivenza. E c’è una commissione inter-cultuale. La prima cosa che ho trovato ieri entrando in episcopio è un mazzo di fiori bellissimo. Chi lo ha inviato? Il grande imam. Essere fratelli. La fratellanza umana che è alla base. Il rispetto religioso è importante. Per questo ai missionari dico di non fare proselitismo”. Il proselitismo vale per la politica, per lo sport: “Vieni nella mia squadra”, ma non per la fede. Ma che cosa significa per te, Papa, evangelizzare? C’è una frase di san Francesco di Assisi che mi ha illuminato tanto: “Portate il Vangelo, e se fosse necessario anche con le parole”. Cioè evangelizzare è quello che noi leggiamo nel libro degli Atti degli Apostoli. Cioè testimonianza. E quella testimonianza provoca la domanda. Ma tu perché vivi così? Perché fai questo? E lì spiego: per il Vangelo. L’annuncio viene dopo la testimonianza. Prima vivi come un cristiano e se ti domandano fallo. La testimonianza è il primo passo e il primo passo dell’evangelizzazione è lo Spirito Santo che porta i cristiani e i missionari a dare testimonianza. Poi verranno le domande”.



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