La crisi politica, avviata un mese fa da Matteo Salvini, ha avuto oggi il suo epilogo. Sergio Mattarella, visibilmente emozionato, ha comunicato alla stampa che di nuovo la regia esce dal Quirinale per tornare a Palazzo Chigi.
Ufficiosamente nasce così il governo Conte II, ufficialmente lo sarà domani al giuramento, con un repentino cambio della maggioranza politica passata dalla vecchia gialloverde alla nuova giallorossa.
Sebbene il M5S abbia confermato che non crede in nessun tipo di connotazione ideologica, questo mutamento di linea segna il passaggio valoriale e culturale più radicale che nella nostra storia repubblicana sia accaduto tra la destra e la sinistra.
È importante tentare analisi obiettive, non facili, ovviamente, in frangenti come questi. La forma e la prassi costituzionali rendono ultra legittimo questo avvicendamento, sebbene, occorre precisare, la politica non sia nata nel 1948 e preceda di gran lunga la nostra Repubblica. I padri costituenti previdero proprio che la Magna Carta funzionasse in modo impeccabile specialmente per impedire quello che invece oggi è sentito come impellente dai cittadini e da molte forze politiche, vale a dire l’espressione diretta della volontà popolare, della democrazia, nelle istituzioni repubblicane.
A dire il vero, Berlusconi prima e Salvini e Meloni adesso non fanno che confermare che tale attitudine alla partecipazione popolare piace soprattutto alla destra, essendo forse il motivo più forte della sua crescita progressiva di consenso.
Il Movimento 5 Stelle, nato all’insegna del populismo anti sistema, ha adesso realmente svoltato, adattandosi alla logica istituzionale tipica del Pd e della tradizionale sinistra, legata alla logica del centralismo verticistico.
Il fatto vero è che adesso una nuova maggioranza parlamentare c’è, e che questa è profondamente sbilanciata a sinistra, vantando perfino l’adesione di Leu, e che i 5 Stelle hanno voluto con sé.
Si tratta, ad avviso di chi scrive, del ritorno radicale e virulento del bipolarismo, un bipolarismo massimalista creatosi dopo la fine della DC e neutralizzato per alcuni anni dalla presenza, apparentemente anti ideologica, dei grillini nello spazio pubblico.
La sinistra, insomma, è al Governo, Grillini inclusi, e la destra all’opposizione, come vuole la natura delle cose.
Il vero problema è, ad ogni buon conto, un altro. Non si può nascondere, come un tempo era possibile, il vettore guida costituito dall’opinione pubblica e pubblicata. Il cosiddetto sovranismo con il Conte II non soltanto non è sepolto, ma continua a crescere nei propri consensi, e crescerà ancora nell’immaginario collettivo. Anche laddove, infatti, Salvini sembra calare, cresce Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni. Questo significa che, al contrario di un anno e mezzo fa, adesso la democrazia rappresentativa non si sta sforzando di avvicinare se stessa alla democrazia popolare, cosa che sarebbe avvenuta con le elezioni, ma opta, al contrario, per fuggire lontano, in una remota logica di sospensione trascendente del potere, oltre la gente comune.
Di qui anche i dubbi seri sulla scelta di non andare a votare. Il Quirinale, intendiamoci, ha scelto legittimamente di garantire la continuità alla legislatura, sebbene si possa far notare che potessero essere valutate anche altre opzioni, frutto di un’opposta interpretazione sulla scarsa rappresentatività di questo Parlamento.
Guardando il tutto nel suo insieme, abbiamo l’idea chiara di un punto di arrivo storico, decretato proprio oggi, dell’approdo definitivo di una lunga tensione di rapporti tra sovranità popolare ed esercizio di essa nei limiti della Costituzione. Com’è noto, i sistemi ultra rappresentativi e parlamentari hanno sempre il difetto originario di portare in seno l’infida tentazione di sostituire la Repubblica alla Democrazia. Il punto di contatto esclusivo, infatti, risiede solo e soltanto nel momento elettorale. Con l’aggravante che adesso, per la prima volta, un principale partito di minoranza, il Pd, ha comunicato esplicitamente che la paura del voto e il voler bloccare la destra sono stati l’unica reale giustificazione per non andare a votare e fare un patto con il nemico di sempre.
Si può perciò riconoscere che siamo davanti al “primo governo organico di sospensione democratica”, come si sarebbe detto nella Prima Repubblica.
Tenere lontani dal voto milioni di elettori che sono indubbiamente una maggioranza conservatrice della nazione, relegandoli a minoranza neutralizzata in Parlamento, è il colpo di genio di Matteo Renzi: una scelta che comporta però rischi molto elevati, di molto superiori al danno che si voleva evitare.
Sì, perché la paura del voto, come ha bene detto Carlo Calenda, acuisce la malattia non risolvendola, mettendo cioè qualsiasi scelta di questo esecutivo in una logica di illegittimità democratica che avvelenerà l’acqua dove nuotano tutti i pesci, rossi e neri, grandi e piccoli.
Quella di oggi, dunque, non è stata una bella giornata per la Repubblica Italiana, non essendo memorabile per nessuno: non lo è stata per tutto il centrodestra, maggioranza finita incredibilmente nell’angolo; non lo è stata per il M5S, trasformatosi da movimento anti sistema in una grande corrente dorotea; non lo è stata per il Pd, che ha fatto per viltà il gran rifiuto elettorale. In definitiva, l’odierno è un giorno triste per il popolo italiano, sempre meno libero, sempre più povero e vecchio, e sempre più sottomesso alle logiche altrui, grazie ad una Repubblica che battezza domani ufficialmente il primo governo politico di sospensione democratica.