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Cosa cambia con il Green new deal tedesco. L’analisi di Tabarelli

Questo si che è un Green New Deal. Mentre in Europa e negli Usa se ne parla molto, in Germania, sono passati ai fatti ieri, con l’approvazione del nuovo pacchetto clima da parte dei partiti di governo, dopo 18 ore di discussione durata tutta la notte precedente. La stessa Angela Merkel, che guidava il Comitato Clima da lei voluto, ha fatto l’annuncio. Si capisce, in strada c’erano i giovani che protestavano contro i governi che non fanno abbastanza per combattere i cambiamenti climatici. 100 miliardi di euro di pacchetto, ma si tratta, da quel poco che si capisce, di misure cumulate al 2030, mentre quelle al 2023 sono 54 miliardi. Sembrano tanti, ma se paragonati ai 25 miliardi di incentivi alle rinnovabili, di cui nessuno ha parlato in questi giorni, che già pagano i consumatori tedeschi ogni anno, non sono tanto.  In 10 anni hanno speso più di 200 miliardi per sostenere le pale eoliche e il fotovoltaico, con una loro quota, sui consumi energetici totali, quelli totali non solo quelli elettrici, che è salita al 7%.

Certo, sulla produzione elettrica contano molto di più, nel 2019 oltre il 30%, ma l’elettricità è solo una fetta, meno di un terzo, di tutta l’energia consumata in un Paese. Infatti, il nuovo pacchetto prende di mira il settore dei trasporti e quello residenziale che, fino ad oggi, a differenza dell’industria e della generazione elettrica, sono rimasti fuori dal sistema di penalizzazione delle emissioni di CO2. L’obiettivo è fare pagare anche a loro il prezzo della CO2, quello che nell’ultimo anno è passato da 5 euro per tonnellata a 27 euro.  In sostanza aumenteranno le tasse sui carburanti e sui prodotti riscaldamento, anche qui dimenticando che già oggi sono gravati da pesante tassazione. Proprio il prezzo della CO2 è lo strumento che si sta dimostrando più efficace, perché ha fatto collare nel 2019 il consumo di carbone nelle centrali in Germania.

Rimane però ancora la prima fonte a copertura della produzione di energia elettrica, con una quota leggermente superiore al 30% nei primi nove mesi del 2019, anche se in forte calo rispetto al 40% di tre anni fa. Il carbone è la vera spina nel fianco della Germania di cui anche ieri si è preferito non parlare. Solo poche settimane fa il governo ha approvato lo stanziamento di 43 miliardi di € per compensare le regioni, quasi tutte nell’Est, dove si chiuderanno entro il 2038 le miniere e le centrali a carbone, come da programma approvato lo scorso gennaio 2019.

Per nulla si è parlato poi di nucleare con i pochi reattori rimasti ancora in Germania, una decina, che producono ancora il 13% dell’elettricità tedesca, contro l’11% del fotovoltaico. Le centrali, in base agli impegni presi dalla Merkel dopo l’incidente di Fukushima del marzo 2011, chiuderanno entro il 2022 e, con il venir meno di quelle a carbone, causeranno un netto calo della capacità di base, quella che può essere tenuta sempre accesa, anche quando non c’è sole o non soffia vento.

Come al solito il nuovo pacchetto pone grande enfasi sulle nuove rinnovabili, eolico e solare, quelle che fanno elettricità intermittente e che sta creando grossi problemi di stabilità delle reti di tutt’Europa. La loro produzione dovrebbe raddoppiare al 2030, ma occorre superare enormi ostacoli di opposizioni ambientali, assenza di spazi e difficoltà nel costruire nuove reti. I prezzi dell’elettricità all’ingrosso in Europa per le scadenze 2020 e 2021 sono in salita proprio in conseguenza delle rigidità che si intravedono per il sistema tedesco, a cui si aggiungono quelle della Francia a causa del nucleare in difficoltà. A fine mese, anche per questo, le tariffe elettriche in Italia saliranno, confermandosi, assieme a quelle tedesche, fra le più alte al mondo. Il primato nelle politiche ambientali, che in queste ore si vuole in tutta Europa ribadire, in coda alla leadership germanica, non è gratis.


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