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Huawei alla conquista dell’Italia. Come e perché la Cina punta alle smart cities

Un tour in sei tappe, fra settembre e ottobre, nei capoluoghi italiani pronti a trasformarsi in “Smart cities”. Così Huawei, colosso hi-tech cinese con sede a Shenzen, vuole rilanciare il brand in Italia. Si chiama “Smart city tour 2019” e ha già preso il via. A Milano, il 23 settembre. Poi a Torino, il 25. Genova, Roma, Bari, Cagliari le prossime tappe in programma.

GLI INCONTRI ISTITUZIONALI

I vertici di Huawei, il Ceo del ramo italiano Thomas Miao (nella foto) e Liu Huibo, Huawei enterprise general manager, saranno accolti dalle massime autorità locali e dialogheranno con rappresentanti delle imprese e di Confindustria.

Ha dato Forfait a Milano il sindaco Beppe Sala. A Genova si parlerà di “smart port” alla presenza del sindaco Marco Bucci e del presidente della regione Liguria Giovanni Toti. Anche a Roma il 3 ottobre sarà presente a discutere di “smart transportation” la prima cittadina Virginia Raggi, che un anno fa aveva ospitato i vertici di Huawei Italia per un convegno alla Camera dei Deputati alla presenza dell’allora ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio.

Come Leonardo Da Vinci, “genio intramontabile, ha speso tempo e risorse per sviluppare invenzioni tecnologiche che potessero aiutare le città a diventare più efficienti e sostenibili”, si legge sul sito dell’azienda, così anche Huawei, che ha già sponsorizzato diversi eventi commemorativi del 500° anniversario di Leonardo, vuole proporre alla Pubblica amministrazione “tutte le soluzioni necessarie per realizzare Smart City moderne ed efficienti”.

TEMPISMO NON CASUALE

Il tour arriva in un momento difficile per l’azienda hi-tech cinese, da più di un anno finita nel mirino degli Stati Uniti e di molti Paesi alleati con l’accusa di rispondere alle direttive del Partito comunista cinese e di partecipare a operazioni di spionaggio e furto di dati. Huawei è leader globale nello sviluppo e nell’implementazione del 5G, la rete a banda larga pronta a rivoluzionare il mondo delle telecomunicazioni e dei servizi digitali attraverso l’Intelligenza artificiale (Ia), l’Internet of things (Iot), il cloud computing, i Big data. L’Italia sconta un ritardo nello sviluppo del 5G e nella digitalizzazione della Pa.

Sul tema è peraltro intervenuto un decreto legge approvato dal nuovo governo durante il primo Consiglio dei ministri che estende la normativa del Golden Power alla protezione della banda larga. Il decreto si applica esclusivamente ai fornitori extracomunitari, dunque Cina compresa. “Il Golden Power dovrebbe essere applicato a tutti i player per avere la certezza che dal primo giorno in cui si partirà con il 5g ci sarà un’infrastruttura sicura e affidabile” aveva osservato a luglio il n.1 di Huawei Italia in merito al decreto legge presentato e poi lasciato decadere dal governo Lega-Cinque Stelle.

CHI SONO GLI SPONSOR

Diversi gli sponsor del tour Huawei. Il principale supporto finanziario arriva da Italware, azienda italiana fondata nel 1988 che offre soluzioni per la “trasformazione digitale” dei suoi clienti (principalmente Pa o grandi gruppi industriali) e ha visto negli ultimi sette anni una crescita costante del fatturato (nel 2017 ammontava a 187 milioni di euro). Nella lista c’è anche Esprinet, holding quotata alla Borsa italiana specializzata in distribuzione di tecnologia “business to business”. Sielte, società nata nel 1925 come costola della svedese Ericcson (principale rivale di Huawei nella fornitura 5G), oggi guidata dall’imprenditore italiano Salvatore Turrisi e attiva nel mercato delle telecomunicazioni.  E poi ancora la quotata Retelit, società italiana che controlla 12.500 chilometri di fibra ottica e membro del consorzio AAE-1 (Africa-Asia-Europe-1).

Fra i più generosi finanziatori dell’iniziativa figura anche un’azienda 100% made in Usa. Si tratta della Arrow Electronics, colosso dell’elettronica statunitense con base in Colorado. È una delle aziende leader del settore che ha tremato lo scorso maggio, quando il presidente americano Donald Trump ha annunciato tramite il segretario al Commercio Wilbur Ross l’inserimento di Huawei e di 70 aziende affiliate nella “black list” delle entità commerciali ritenute pericolose per la sicurezza nazionale. L’ordine esecutivo non è ancora entrato in vigore, grazie a una proroga disposta da Trump per poter utilizzare il bando come leva negoziale nelle trattative commerciali con il governo cinese.

Chiudono l’elenco degli sponsor del tour italiano Tiscali, il gruppo sardo che nel 2016 ha vinto (con Bt Italia e Vodafone-Ericsson) la maxi-gara Consip per fornire la banda larga a centomila punti rete della Pa e la cui maggioranza azionaria è detenuta dai russi di ICT (Investment Construction Technology Group) Holding, società che fa capo al magnate russo Vadim Belyaev, numero uno di Bank Otkritie. Seguono DI.GI. International e due aziende attive nella fornitura di servizi Itc, la milanese Comtel e il PA Group.

COS’È UNA SMART CITY?

Cosa intende Huawei quando dice di voler trasformare i capoluoghi italiani in “smart cities”? “Una smart city è una città intelligente – spiega a Formiche.net Arturo Di Corinto, giornalista esperto di comunicazione e tecnologie emergenti e docente alla Link Campus. “Smart” significa anzitutto ottimizzazione dell’erogazione dei servizi come acqua, gas, elettricità tramite l’installazione di un computer chip nelle macchine che li gestiscono. In poche parole, trovare una soluzione più furba per fare meglio e in meno tempo quello che facevi prima”. Gli ambiti di applicazione sono molti, il sito di Huawei ne elenca alcuni. Turismo, edilizia, sanità, porti, aeroporti, istruzione.

“Le funzionalità di cui dispongono le smart cities si devono all’uso di microprocessori con un indirizzo numerico rintracciabile via internet – continua l’esperto – è il caso di una rete di sensori per monitorare l’utilizzo dell’acqua potabile nei periodi di siccità, aumentando i flussi verso le zone produttive agricole e riducendoli nelle aree residenziali rimaste vuote”. Oppure ancora: “Una tipica funzione di una smart city è la cosiddetta onda verde, i semafori creano delle lunghe strisce di viabilità calcolando il tempo medio che un’automobile impiega da uno stop all’altro”.

Il motore necessario a mettere in piedi una smart city è proprio la rete 5G. Perché? “La banda larga velocizza la comunicazione tra i diversi pc, non interferisce con altri sistemi perché le frequenze non si sovrappongono – risponde Di Corinto – garantisce cioè più velocità, più flessibilità, meno interferenze e soprattutto meno consumo di energia”.

SMART NATION: LE POTENZIALITÀ…

Nel mondo ne sono già nate diverse. Esistono perfino delle leghe internazionali di smart cities. Vere e proprie federazioni di città digitali sulla scia del modello della lega anseatica medievale. È il caso della World Smart Sustainable Cities Organization (WeGO), associazione internazionale con base a Seul che conta 150 membri. In alcuni casi, come è stato evidenziato in una recente puntata di “Codice. La vita è digitale” condotto da Barbara Carfagna su Rai 1, il confine fra città digitale, città-Stato o nazione digitale può farsi molto labile. Tant’è che di Singapore si parla come la prima “Smart nation” dell’era digitale. Secondo gli addetti ai lavori la nascita di federazioni fra smart cities può dar vita a una nuova “geopolitica dei dati”

…E I RISCHI

Una rivoluzione che presenta rischi non trascurabili. Le “smart nations” costruite tramite la rete 5G possono rivelarsi vulnerabili a sabotaggi esterni e furto di dati. I produttori di tecnologia 5G avrebbero in particolare la possibilità di installare sui loro apparati delle backdoors (porte di entrata) e prendere il controllo dei dati su mobilità, cartelle cliniche, energia elettrica. Di questo è accusata dagli Stati Uniti (e da decine di altri Paesi) la cinese Huawei, che si è sempre difesa e anzi intende mettersi alla guida della digitalizzazione delle città italiane. Eccetto il decreto 5G (che presenta alcune criticità applicative) al momento dal governo italiano non trapelano ulteriori misure a difesa della sicurezza della banda larga. La direzione d’altronde è stata segnata in modo chiaro dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte durante il discorso di fiducia alla Camera. L’obiettivo è “trasformare l’Italia in una smart nation”.

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