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Conte (a New York) parla di Huawei ma sul 5G italiano i dubbi degli Usa restano

Huawei e gli altri colossi cinesi saranno o no coinvolti nelle infrastrutture delle nuove reti 5G italiane? La questione, che nella Penisola viene forse troppo leggermente ritenuta “superata” dal nuovo decreto cyber approvato giovedì scorso in Consiglio dei ministri, resta invece un punto interrogativo oltreoceano, dove ci si chiede se l’azienda di Shenzhen, ritenuta da Washington un potenziale mezzo di spionaggio dell’intelligence di Pechino, sarà esclusa o meno da un ambito così delicato. La domanda non è peregrina.

In una logica di mercato, torna a spiegare in una intervista a SkyTg24 il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’Italia non chiuderà preventivamente le porte del 5G a Huawei o ad altre aziende, ma adotterà al momento opportuno tutti gli strumenti a sua disposizione “per difendere gli interessi nazionali”. Un concetto giusto ed equilibrato, in fin dei conti, ma che non chiarisce ancora quale sarà la linea di Roma, che invece alleati e partner aspettano con apprensione di conoscere.

Il tema tecnologico, infatti, non riguarda solo l’Italia, e questo gli Stati Uniti lo rimarcano da tempo: un punto debole nelle reti di una nazione potrebbe mettere a repentaglio anche quelle degli altri. E, nel caso italiano (ma non solo), l’eventualità assume ancora maggiore rilevanza e complica ulteriormente le cose, perché in gioco ci sono anche le comunicazioni Nato e quelle con le basi militari americane nel nostro Paese.

L’inquilino di Palazzo Chigi, finora molto attento a rimarcare la fondamentale collocazione della Penisola sull’asse transatlantico, ribadisce correttamente l’esistenza di un nuovo perimetro di sicurezza nazionale cibernetica che conterà su standard di sicurezza maggiori rispetto al passato e sottolinea che l’ingresso di Huawei nel 5G italiano non è automatico.

Da un punto di vista alleato, tuttavia, ci si trova di fronte a parole e non ancora a fatti. Anche perché, viene rilevato, le prescrizioni giunte alle telco nella prima riunione dell’esecutivo Conte 2 attraverso l’esercizio dei poteri speciali concessi dal Golden Power (anch’essi verso un rafforzamento col nuovo decreto) non fermano Huawei e Zte, che continuano massicciamente a investire in Italia.

Non è forse un caso, dunque, che il bilaterale che Conte avrebbe voluto tenere con il presidente americano Donald Trump a margine dell’assemblea generale dell’Onu, alla fine, non ci sia stato. Sarebbe stata probabilmente l’occasione giusta, per l’Italia, per chiedere in modo diretto un sostegno statunitense sulla questione libica, che potrebbe vivere un punto di svolta nella prossima conferenza internazionale in programma a Berlino.
Ma, prima di spendersi, la Casa Bianca, che pure ha con “Giuseppi” un feeling particolare (e il suo endorsement non lo ha nascosto), aspetta risposte chiare su questo e altri temi.

Palazzo Chigi può, in questo senso, essere decisivo. Nell’articolo 5, il decreto cyber assegna infatti, per la prima volta, dei veri “super poteri” al presidente del Consiglio, che in occasioni di crisi cibernetica e “in presenza di un rischio grave e imminente per la sicurezza nazionale connesso alla vulnerabilità di reti” (come viene ritenuta negli Usa la presenza di Huawei), può disporre la disattivazione degli apparati ritenuti pericolosi. Impossibile non chiedersi, a Roma come a Washington, se e quando Conte li eserciterà.



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