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Il Califfo è alle strette: l’audio per rilanciare il proselitismo

Nel discorso con cui Abu Bakr al Baghdadi ha arringato i suoi proseliti, diffuso ieri, non ci sarebbe niente di eccezionale, se non fosse l’eccezionalità del discorso stesso. La seconda uscita pubblica dopo pochi mesi da un video diffuso in maniera tutt’altro che consueta. Va considerato che dietro questa produzione multimediale c’è uno sforzo multiplo: il messaggio da preparare, tutto il contorno necessario, e soprattutto la sicurezza. Non sarebbe la prima volta infatti che i servizi segreti (americani, inglesi, francesi, israeliani, sauditi, russi, iraniani: tutto il mondo vuole la testa di Baghdadi) riescono a sfruttare le falle che si creano in certi momenti per ottenere informazioni cruciali, intercettando rapidamente movimenti particolari — incontri, spostamenti di personale, corrieri.

Il motivo del messaggio audio diffuso ieri, secondo Daniele Raineri (giornalista del Foglio e più esperto analista italiano sulle dinamiche dello Stato islamico) è da ricercare sulla pubblicazione — via Telegram — di alcuni consigli critici che certe figure di alto profilo, dissidenti del gruppo, avevano dato al Califfo negli anni passati. Sono informazioni dello scorso anno, ma uscite in questi giorni. Tra questi biasimi il principale era: non nasconderti. Baghdadi era accusato di mostrarsi in pubblico troppo raramente e questo era considerato un problema sia per il coordinamento (mancava la linea politica dettata dalla voce del leader, diciamo), che per il proselitismo (il successo dell’Is è stato anche legato alla narrazione internazionale attorno al Califfato). I due problemi sono chiaramente concatenati ed emergono ancora di più adesso che il gruppo non è così forte come quando anni fa poteva sfruttare la potenza delle immagini con cui, per esempio, cancellava le linee di confine di Sikes-Picot dicendo che la terra del Califfo era senza confini e separazioni, ma di tutti i musulmani uniti.

Se si applicassero al Califfato i termini di ragionamento con cui si affrontano le beghe interne ai partiti italiani, parleremmo di “polemiche interne”, “scontro nella leadership”, “maretta”: ma il Califfato è una struttura teocratica dove le liti con il prescelto non si risolvono con un congresso o una scissione. Resta il fatto che la sovrapposizione dell’audio con la pubblicazione di quelle lamentele è un segnale importante.

Altri due temi interessanti trattati dal capo dello Stato islamico. Primo, la liberazione dei prigionieri, che è un asset importante per il Califfato che è partito (nel 2010) proprio da lì, dalle carceri come quella americana di Camp Bucca, in Iraq, dove lo stesso Baghdadi era stato rinchiuso e aveva creato contatti fortissimi con coloro che diventarono poi i leader della struttura califfale. Secondo, il proselitismo (chiaramente). Argomento che torna e testimonia una fase delicata. Il Califfo chiede di aprire i ranghi a tutti coloro che soffrono le situazioni di crisi nel mondo islamico, dimenticandone il passato (un poliziotto del regime egiziano torna sulla retta via? Includiamo tra i nostri, dice). È una necessità: rinforzare le truppe. I baghdadisti sono ancora una minaccia in molte aree del mondo, ma il flusso continuo di proseliti è rallentato, braccato dai nemici e a secco della spinta propagandistica forte legata ai successi.

 

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