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Effetto impeachment. Fuori Volker, l’inviato per l’Ucraina di Trump

Sull’amministrazione Trump s’abbatte il primo effetto dell’avvio della procedura d’impeachment. S’è dimesso il rappresentante speciale del dipartimento di Stato per il dossier Ucraina, Kurt Volker, il diplomatico con il ruolo di triangolare Washington-Kiev con gli altri attori in campo sulla crisi pluriennale. Questo significa che attualmente gli Usa resteranno senza un capo-missione a curare il fascicolo di contatto/scontro più importante tra Stati Uniti e Russia, un fronte creatosi nel 2014 con l’annessione della Crimea e la guerra del Donbas, elementi che hanno prodotto un riassetto generale delle relazioni diplomatiche in Europa e messo il rapporto Russia-Occidente in profonda crisi, riportando indietro il calendario ai tempi della Guerra Fredda.

Non sarà facile trovare un sostituto perché dovrà inserirsi in un terreno surriscaldato dal casus belli che ha prodotto l’avvio della procedura per mettere in stato di accusa il presidente decisa dai Democratici: la telefonata del 25 luglio tra Trump e il collega ucraino Volodymyr Zelensky. Quella che ha portato un funzionario della Cia assegnato al monitoraggio della Casa Bianca ad alzare una denuncia formale perché aveva rivelato il potenziale configurarsi di un complicato abuso di potere da parte di Trump. La richiesta, come “favore”, di scambiare gli aiuti militari all’Ucraina — questione su cui Volker s’era speso in prima persona, sia a Kiev che tra gli apparati americani — con l’avvio di una qualche indagine da parte dell’anti-corruzione ucraina che potesse infangare Joe Biden, usando l’incarico che suo figlio aveva all’interno di una società del gas dalle radici opache, triangolando il ruolo avuto dall’ex Veep della presidenza Obama nelle dimissioni dell’allora procuratore generale — a dire di Trump fatto fuori da Biden per non fargli indagare la company del figlio.

Una costruzione arzigogolata su cui non ci sono prove, con Trump che offriva l’aiuto dei suoi — su tutti l’avvocato Rudy Giuliani — per costruirne, ma intanto avrebbe messo momentaneamente in blocco il passaggio di quegli aiuti cruciali alle forze armate ucraine. Si trattava di missili anti-tank Javelin, la cui importanza è stata recepita da Congresso, Pentagono e dipartimento di Stato, che infatti avevano rapidamente approvato la fornitura: erano ciò che mancava all’esercito ucraino per bloccare una qualsiasi ambizione dei ribelli separatisti amici della Russia di eventuali avanzamenti. Erano un deterrente: i vostri carri armati (con ogni probabilità forniti dalla Russia) potrebbero incontrare i nostri missili (forniti dagli Usa).

Volker era stato messo in mezzo. Giuliani aveva cercato più volte contatti a Kiev a titolo personale per cercare di preparare il terreno anti-Biden, e voleva farlo sfruttando entrature che Volker era riluttante a concedere. Anzi, lui aveva facilitato una dinamica di senso opposto, permettendo un incontro tra Giuliani e Andriy Yermak, uno dei più stretti collaboratori di Zelensky, sotto richiesta di Kiev, dove erano a conoscenza delle proposte strambe avanzate da Giuliani a nome di Trump e temevano che la freddezza potesse compromettere le relazioni con la Casa Bianca. Yermak si sarebbe seduto a un tavolo per ascoltare le richieste di Giuliani il 2 agosto, a Madrid. Adesso Giuliani sta cercando di usare il ruolo di contatto svolto da Volker e le conversazioni tra loro due per preparare l’incontro con Yermak come una prova sul fatto che lui stava lavorando per il dipartimento di Stato. Ieri ci ha provato pubblicamente durante lo show giornalistico di Laura Ingraham su Fox News. Da notare che già il mese scorso, il dipartimento ha dichiarato in un comunicato che Volker “ha confermato che, su richiesta del consigliere presidenziale Andriy Yermak, Volker ha messo Yermak in diretto contatto con il signor Giuliani”. Nella dichiarazione è sottolineato che Giuliani “è un cittadino privato e agisce a titolo personale come avvocato del presidente Trump. Non parla a nome del governo degli Stati Uniti”.

Volker non ha dato spiegazioni pubbliche del perché abbia deciso di lasciare un ruolo (le dimissioni sono state annunciate per primo da State Press, il giornale studentesco dell’università statale dell’Arizona, dove Volker guida un corso di studi sulle relazioni internazionali intitolato a John McCain), ma le persone a lui vicine e che stanno parlando con i media dicono tutte la stessa cosa: con una situazione del genere era impossibile continuare. Le dimissioni arrivano tra l’altro pochi giorni prima di una deposizione  congressuale per cui il diplomatico è stato già convocato. Forse l’inviato ha deciso di lasciare il suo incarico speciale per parlare più liberamente con i parlamentari che lo intervisteranno come persona informata sui fatti? Racconterà qualcosa in più sulle varie ricostruzioni giornalistiche secondo cui l’idea di infangare Biden è un progetto pianificato da Trump e dai suoi uomini a tavolino e non un’uscita estemporanea durante una conversazione? Dirà a proposito qualcosa sul come una comunicazione diretta tra l’americano e Zelensky era stata congelata da alcuni funzionari di Casa Bianca e dipartimento di Stato proprio per timore che Trump potesse chiedere all’ucraino qualcosa di imbarazzante e compromettente? Ex ambasciatore alla Nato, inviato speciale non retribuìto da Foggy Bottom, Volker era lì per senso dello stato ed era già in una posizione scomoda perché si rifiutava di fare da sherpa a Giuliani nella ricerca del “dirt”, come scrive il New York Times, dello sporco, contro Biden: ossia non accettava di mescolare il suo incarico con torbide dinamiche poitico-elettorali interne. Lo stesso agente che ha denunciato la telefonata e il piano trumpiano definisce Volker come uno di coloro che provava a “contenere i danni” della campagna diffamatoria che Trump aveva affidato sotto la guida di Giuliani.

Per il dossier ucraino, le dimissioni di Volker sono problematiche. Il governo di Kiev perde un altro punto di appoggio dopo che negli ultimi mesi sono usciti dall’amministrazione Fiona Hill, la massima funzionaria europea dello staff del Consiglio di sicurezza nazionale, e Dan Coats, il direttore dell’intelligence nazionale, entrambi solidali con l’Ucraina nel suo conflitto con la Russia. Di più: gli Usa sono ancora senza un ambasciatore Kiev dopo che l’amministrazione ha tirato a casa Marie Yovanovitch, una diplomatica con una lunga carriera alle spalle presa di mira dal presidente e da Giuliani per essere apparentemente insufficientemente leale, una accusa contestata caldamente dai suoi colleghi.


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