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La “proporzionale” è meglio di un cattivo “maggioritario”

In materia di legge elettorale ci vuole onestà intellettuale e coerenza fra strumenti e obiettivi, perché l’approccio levantino genera mostri. Infatti la norma attualmente in vigore (pessima a mio avviso) ha generato già due “mostri”, vale a dire i due governi Conte, che nessuno, ripeto nessuno, ha mai proposto agli elettori prima del voto.

Ciò è stato possibile per l’intrinseca “disonestà” della norma in vigore, che è ispirata ad una logica proporzionale travestita però da maggioritario (per effetto della quota di collegi uninominali). Il risultato finale è stato, in termini di corretto rapporto tra i cittadini e i candidati, semplicemente devastante, perché la Lega ha fatto la campagna elettorale con Berlusconi e la Meloni per poi finire a fare un governo con il M5S, il Pd ha preso voti sparando a palle incatenate contro i grillini per poi votare con loro il Conte bis e Di Maio ha detto in tutte le maniere di sentirsi alternativo a Salvini e alla sinistra per poi riuscire nel capolavoro di partecipare a due maggioranze (in sequenza) esattamente con Salvini e la sinistra.

Quindi, in termini di coerenza tra quanto detto in campagna elettorale e quanto fatto a Parlamento insediato, possiamo affermare che il festival dell’ipocrisia in salsa tricolore ha raggiunto vette memorabili. Siccome però i governi bisogna farli e le maggioranze parlamentari vanno formate, tutto il ragionamento deve essere improntato ad un sano realismo, avendo cura di sfatare il mito (ridicolo) della neutralità delle leggi elettorali. Esse infatti sono strumenti potentissimi, in grado di condizionare pesantemente il risultato finale (basti ricordare che Trump è alla Casa Bianca pur avendo preso 2.104.000 voti in meno della Clinton). Eccoci allora alla questione centrale.

Quale legge elettorale serve all’Italia di oggi, visto che siamo anche alla vigilia di una drastica riduzione del numero dei parlamentari? A mio avviso servirebbe e un maggioritario serio e ragionevole, capace cioè di garantire governabilità e rappresentanza. Da questo punto di vista i sistemi che usiamo per eleggere sindaci e presidenti delle Regioni sono buoni (e infatti funzionano egregiamente). A livello nazionale però l’Italia mantiene un impianto costituzionale da Repubblica parlamentare, sostanzialmente incompatibile con la logica dell’elezione diretta. Infatti dal ‘94 a oggi quasi tutti i governi si sono retti su maggioranze che potremmo definire “a geometria variabile”.

Allora dobbiamo usare parole di sincerità, nel tentare di concludere questa riflessione. Se Repubblica parlamentare dev’essere, allora si sappia che l’unica legge elettorale che ne rispecchia in pieno lo spirito è quella proporzionale (non a caso voluta dai costituenti). Una legge che colloca tutti i partiti ai blocchi di partenza in modo tale da indurre ognuno a fare la propria corsa. Poi, dopo le elezioni ed a seconda dei risultati, si fanno le alleanze per il governo.

La via del maggioritario (che io preferirei) è infatti percorribile solo ridisegnando anche i rapporti tra governo e Parlamento, come accade, tanto per fare due esempi, in Gran Bretagna e Francia, dove sono in vigore sistemi maggioritari a un turno (Londra) o due turni (Parigi). Ma siccome questo significa riscrivere la Costituzione ecco che, allo stato attuale, una legge di tipo proporzionale è la soluzione più ragionevole.

Avendo chiaro però che essa si porta dietro un crisi di governo all’anno, come insegna la Prima Repubblica.

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