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Perché Lam ritira la legge che ha scatenato le proteste a Hong Kong?

“È troppo poco, troppo tardi” scrive su Twitter Joshua Wong, il segretario di Demosisto, partito che chiede più democrazia a Hong Kong, recentemente arrestato insieme ad altri leader delle proteste prima di una grande manifestazione che la polizia non ha autorizzato. Commentava la notizia del momento sulle vicende del Porto Profumato: la Chief Executive, Carrie Lam, ha annunciato il ritiro definitivo del provvedimento di legge sull’estradizione, che è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso della cinesizzzione a cui l’ex colonia britannica è soggetta scatenando, tre mesi fa, scatenando i disordini che ancora oggi non sono sedati.

Lam ieri ha parlato di tutti e cinque i punti attorno a cui i manifestanti hanno sintetizzato le loro richieste. Oltre alla legge sull’estradizione, l’indagine trasparente sulle proteste della polizia: è possibile, ha detto, gli organi competenti provvederanno a verificare i fatti. Poi l’amnistia per chi è stato fermato dopo essere sceso in strada: non se ne parla, ha dichiarato la governatrice locale incaricata dalla Cina. Ma ha aggiunto che sebbene il suo giudizio politico sia molto severo con le dimostrazioni, la magistratura non sarà influenzata da questo. È un messaggio importante, perché risponde in modo indiretto alla richiesta di non catalogare le manifestazioni come “sommosse”, mandando coloro che sono stati fermati davanti a pene più dure – Pechino da molto tempo invece le chiama “riots”, sommosse detto in inglese in modo tale che il messaggio arrivi a tutto il mondo. Infine il suffragio universale: è previsto, ma se ne riparlerà quando il clima sarà rasserenato.

La scelta di Lam è mediatica, e apre diversi scenari. Il primo, più ovvio, potrebbe essere stata una mossa decisa in comunione con Pechino, che ha un timing da rispettare per fare un maquillage alla situazione ormai finito in testa ai media mondiali: il primo ottobre, data del 70esimo delle Repubblica popolare, anniversario che Xi Jinping vuole usare come trampolino per sottolineare al mondo lo status di super-potenza raggiunto dal paese che governerà fino alla morte. La concessione avrebbe dietro una strategia in questo caso: spaccare il fronte delle proteste, facendo venir meno la causa scatenante e la prima delle richieste avanzate dai manifestanti. A questo punto, chi continua a scendere in strada sarebbe più facilmente inquadrabile come un rivoltoso, ragion per cui potrebbe diventare più rapido il percorso di applicazione di uno stato di emergenza con cui risolvere, con forza, la crisi.

Il secondo scenario vede Lam agire di propria iniziativa, a tutela delle persone che amministra e senza coordinamento con la Cina. Ha le ore contate, probabilmente sarà sostituita non appena le acque si calmeranno, e potrebbe aver scelto una strada indipendente per tentare di recuperare la fiducia persa tra i suoi cittadini. La scorsa settimana si parlava della volontà delle governatrice di avviare un percorso di mediazione, ma i media cinesi avevano smentito la notizia data per prima dalla Reuters. Due giorni fa, sempre la Reuters – che in questa fase deve aver beccato il filone giusto di fonti – ha pubblicato un audio rubato da una riunione di Lam con alcuni businessman locali: la CE dice chiaramente di non poterne più, dimostra una completa frustrazione per il limitato spazio di azione concessole dalla Cina, si auto-incolpa di essere la causa della situazione per aver presentato la legge sull’estradizione, spiega che “se potesse scegliere” darebbe le dimissioni. Poi aggiunge che le proteste orami sono passate di livello, sono diventate una questione di sicurezza nazionale per Pechino e lette dal Partito comunista cinese come una faccenda in mezzo al confronto con gli Stati Uniti: per questo su quello che fare vuol decidere solo il governo centrale.

Nell’audio specifica anche un’altra cosa importante, però: la Cina non ha intenzione di fare concessioni ai manifestanti, “sarò molto franca con voi”, dice, “Pechino non ha una scadenza”, ossia l’idea del governo cinese è lasciare che le manifestazioni finiscano per stanchezza, annacquate dal tempo. Per questo, aggiunge, le autorità cinesi non intendono intervenire con la forza, e già programmano invece come procedere con le manifestazioni di ottobre. Se non cambieranno i contorni delle circostanze. L’Ufficio per gli affari di Hong Kong e Macao del governo cinese ha dichiarato nei giorni scorsi che Pechino, tramite Lam, “continua a discutere soluzioni con persone di ogni estrazione sociale, compresi i giovani, attraverso il dialogo”. È una sottolineatura della posizione della Cina uscita dall’audio: un incedere lento. Ma è anche un aiuto a Lam nel quadro della mediazione con parte di manifestanti (che potrebbe iniziare dal ritiro della legge). E contemporaneamente è un messaggio propagandistico per rassicurare gli osservatori internazionali. Ma intanto chi scende in strada lo fa a rischio di finire manganellato o arrestato.

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