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Caso Ucraina, Biden rischia il fuoco amico. La versione di Bozzo (UniFi)

La politica prima di tutto. Dietro alla procedura di impeachment che i democratici vogliono avviare contro il presidente Donald Trump sulla scia del caso Ucraina c’è un’abile mossa tattica della speaker della Camera Nancy Pelosi, spiega a Formiche.net Luciano Bozzo, docente di Relazioni Internazionali all’Università di Firenze. La messa in stato d’accusa ha poche chances di arrivare a destinazione e può invece aprire a breve un processo tutto interno al partito dell’Asinello contro Joe Biden.

Partiamo da Trump. Che impatto può avere il caso Ucraina sulla sua candidatura?

Ridotto. C’è qualche mal di pancia nel Partito Repubblicano ma la sua candidatura rimane più che solida. Gode di un ampio sostegno popolare, in larga misura motivato dall’innegabile crescita dell’economia americana sotto la sua amministrazione.

La parola impeachment non spaventa l’elettorato?

L’ultimo presidente americano che ha rischiato di finire sotto accusa è stato Bill Clinton nel 1998. Nelle settimane in cui più è stato messo sotto tiro ha raggiunto i massimi livelli di popolarità. Avviare la procedura di impeachment può avere effetti collaterali per i democratici. Ammesso che davvero vogliano andare fino in fondo.

Un bluff?

Una scelta tattica. Non è una strategia nuova in prossimità delle elezioni presidenziali. È probabile che la mossa di Nancy Pelosi non sia tanto finalizzata all’impeachment quanto a un aumento di pressione sul presidente per distrarlo dalla campagna elettorale e limitare la sua libertà d’azione e comunicazione. Ci sono poi degli impedimenti oggettivi.

Ad esempio?

Raggiungere la maggioranza semplice alla Camera dei rappresentanti non sarà un problema per i democratici. Più difficile procedere con il secondo passaggio parlamentare. Al Senato è richiesta una maggioranza qualificata dei 2/3 e per raggiungerla serve un numero di repubblicani dissidenti che al momento non esiste.

Joe Biden può uscire indenne dalla vicenda?

Non credo. La sua posizione in questa storia è molto ambigua. Non può negare di essere intervenuto per rimuovere il procuratore ucraino che indagava sull’impresa per cui ha lavorato suo figlio. Né l’opinione pubblica ha dimenticato casi di pressioni analoghe che in passato hanno visto coinvolta la famiglia Biden.

Un assist per gli sfidanti interni?

Senz’altro i liberaldemocratici come Elizabeth Warren cavalcheranno la polemica. Potranno dipingere Biden come una figura washingtoniana, avvezza ad abusi di potere e canali preferenziali. Non dimentichiamo che quando Hillary Clinton fu accusata di corruzione i supporters di Bernie Sadners le lanciarono mazzette di banconote.

Quale caso lascerà l’impronta più profonda, Kievgate o Russiagate?

Il Russiagate aveva una dimensione internazionale ben diversa rispetto al caso Ucraina, che di fatto ha l’aspetto di un abuso di potere. È vero però che l’inchiesta condotta dal team di Robert Mueller non si era conclusa con una chiara identificazione di eventuali misfatti del presidente. In questo caso c’è una telefonata pubblica in cui Trump minaccia di interrompere gli aiuti economici all’Ucraina qualora Zelenski si rifiuti di aiutarlo nelle indagini su Biden.

Entrambi i casi nascono da una segnalazione dei servizi segreti. Fra Trump e le agenzie di intelligence ci sarà mai una tregua?

Il vertice della piramide del potere statunitense è un’area complessa, non sempre decifrabile. Il presidente Trump ha avuto un rapporto molto tormentato con il mondo dell’intelligence. Ci sono ovviamente precedenti, eppure mai come sotto la sua presidenza queste lotte intestine erano venute alla luce.

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