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La leadership secondo (i due) Matteo. Salvini e Renzi spiegati dalla Chirico

È fatta. Matteo Salvini e Matteo Renzi si incontreranno a duello nel salotto tv di Bruno Vespa, fra tre settimane. L’attesa che precede l’evento è già di per sé sintomo di un nuovo corso della politica italiana. I due Mattei sono riusciti a imporsi come protagonisti indiscussi in una spettacolarizzazione dello scontro che piace ai media, e forse anche agli elettori. Sono davvero così simili o in comune hanno solo il nome di battesimo? Lo chiediamo ad Annalisa Chirico, firma del Foglio e presidente dell’associazione “Fino a prova contraria”.

Renzi vs Salvini. Sono loro i veri protagonisti di questa e della prossima stagione politica italiana?

Non so se finirà con un Matteo contro Matteo, potrebbero aggiungersi attori nuovi, chissà. Al momento noto una sproporzione di forza.

Cioè?

Salvini è il leader del primo partito italiano, Renzi ha appena fondato una nuova creatura che deve ancora misurarsi con la sfida del consenso e dell’insediamento. Certo, i due quarantenni hanno “rottamato” la politica italiana svecchiando un panorama di leadership abbastanza longeve.

Renzi dice di aver “rispedito al Papeete” Salvini, lui sostiene di essersi liberato dell’abbraccio mortale di Ue e Cinque Stelle. La verità sta in mezzo?

Non mi piace l’approccio snob di Renzi verso mojito e Papeete. Peraltro lui non è uno schifiltoso. Preferisce lo champagne ai super alcolici del popolino, ok, ma l’ironia sulle spiagge dove milioni di italiani d’estate prendono l’aperitivo mi lascia perplessa. La verità è un’altra.

Prego.

Renzi non voleva andare al voto, così è passato dal #senzadime contro ogni ipotesi d’accordo con i Cinque Stelle a minacciare il Pd di uscita se non avesse apparecchiato il governo pastrocchio con i pentastellati. Un attimo dopo aver nominato ministri e sottosegretari, se n’è andato lui. Che gran casino.

Salvini invece dov’è inciampato?

Ha pagato le troppe ambiguità, dai rapporti con la Russia all’isolamento in Europa. Sulla politica estera deve migliorare: ha scelto le alleanze sbagliate e si è procurato lo stigma del filoputiniano, proprio lui che con Donald Trump alla Casa Bianca poteva essere il filoamericano per eccellenza. Se avesse rotto dopo le europee sull’onda del voto popolare che lo ha consacrato come leader del primo partito, l’impatto emotivo sarebbe stato diverso ma il ribaltone ci sarebbe stato lo stesso.

E invece?

Ha voluto attendere ma a volte l’attesa non paga. Forse si aspettava un atteggiamento diverso dal Quirinale, e non aveva previsto la mossa renziana che ha spiazzato tutti, Zingaretti in primis. Insomma, degli errori tattici ci sono stati. Adesso, se vuole guardare al futuro, Salvini deve aprire una fase due.

Una ‘fase due’?

La strategia del camaleonte lo ha portato dal 3 al 34%, chapeau. Adesso si inaugura la stagione del buon senso con parole d’ordine nuove, atlantismo ed euro-riformismo. Io la penso così.

Difficile che lui sia d’accordo.

Io gliel’ho detto recentemente. Deve liberarsi di certe ambiguità anche a costo di prendere le distanze da qualcuno che usava il nome della Lega per curare i propri affari, non quelli del partito.

Savoini?

Non conosco il signor Savoini, so soltanto che non è un dirigente della Lega e che lui, non Salvini, è sotto inchiesta.

Torniamo ai due Mattei. Più le differenze o le somiglianze?

Ho conosciuto dapprima Renzi, con lui sono entrata subito in sintonia, è un liberal, una mente brillante, è meglio di come lo dipingono. Salvini lo incontravo negli studi televisivi e spesso discutevo con lui che era nella sua fase manettara, abbastanza disgustosa. Poi a volte la vita ti sorprende, anche lui è cambiato e oggi dice: “Fino a prova contraria”.

E lì l’ha conquistata. È il nome della sua associazione, o sbaglio?

Sì, ci battiamo per una giustizia giusta ed efficiente. Dall’11 al 13 ottobre saremo a Napoli per la nostra prima Scuola intitolata: “Giustizia&Crescita: the Young Hope”. Aprono Luciano Violante e Paola Severino, e ci sarà una sessione dedicata al carcere con la massima autorità religiosa, ma non anticipo altro.

Va bene. Parlavamo di Salvini. In cosa è cambiato?

A volte la vita ti sorprende. Lui ha un’umiltà sconosciuta all’altro Matteo ma in fondo sono entrambi due animali politici, due talenti con un ego importante, come si confà ai leader. Poi Salvini ama i bagni di folla, ha un rapporto empatico con la gente, adora stringere le mani. Renzi preferisce contesti più riflessivi, affitta i teatri, il 19 ottobre non occupa piazza san Giovanni ma chiama a raccolta le sue truppe alla Leopolda, nella sua Firenze.

Due leader con il culto di sé?

Il personalismo è un bene perché responsabilizza i leader. Nei partiti leaderistici il capo carismatico che sbaglia viene licenziato.

Adesso che succede? Con la scissione Renzi ha fatto il passo più lungo della gamba?

È una genialità tattica, adesso però dovrà misurarsi con il consenso, del resto con il governo giallorosso ha evitato il confronto elettorale con Salvini. Di certo prima o poi si tornerà al voto. Mi ha colpito che nelle sue prime uscite pubbliche Renzi abbia rivendicato il carattere ‘machiavellico’ della sua operazione: si è espresso sul top management di Enel, sull’ipotesi di fusione tra Leonardo e Fincantieri. Così parli al Palazzo, non alla gente che da te si aspetta un’idea di Paese, un sogno da realizzare.

Finiamo con Salvini. Rischia il processo interno o rimane leader indiscusso?

La Lega è un partito leninista: Salvini resta il leader incontrastato fintantoché macina voti e consenso. E poi c’è una generazione giovane di validi dirigenti, da Andrea Crippa a Riccardo Molinari. Giorgetti è il Richelieu che tutti vorremmo avere, Zaia e Fontana sono due super governatori, il modello del buon governo leghista.

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