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Fra Tripoli e la Cirenaica, avanza Misurata. Che chiede spazio (anche in Italia)

“Le decine di feriti che sono curati al Celio non vogliono incontrare l’ambasciatore libico in Italia, Omar al Tarhouni, perché non si fidano di lui”, ci dice una fonte da Misurata che frequenta i corridoi del Consiglio presidenziale di Tripoli.

Misurata è la città-stato molto potente, con ottimi collegamenti internazionali, che difende il governo che l’Onu ha insediato nella capitale e che ha messo in stallo l’assalto lanciato cinque mesi fa dal signore della guerra dell’Est libico, Khalifa Haftar. La feluca a cui è stata affidata l’Italia è di Tarhouna invece, una città a sudest di Tripoli che insieme a Gharyan è considerata il centro logistico dell’assalto di Haftar, solo che a differenza di Gharyan è ancora in mano all’autoproclamato Feldmaresciallo della Cirenaica, che sabato proprio lì ha perso tre ufficiali in un bombardamento misuratino. “Tarhouni viene considerato uno che potenzialmente potrebbe essere influenzato da Haftar. Lo vedono così quei miliziani curati in Italia, che sono misuratini”, aggiunge la nostra fonte che parla di questioni delicate e dunque sceglie l’anonimato.

La vicenda è un elemento in più per descrivere lo stato complicato all’interno della Libia, dove l’aspetto dello scontro militare si somma a questioni ancora più profonde – per esempio le rivendicazioni di Misurata, e l’avversione per Haftar – e dinamiche politiche più basiche.

La nostra fonte ci spiega che Tarhouni una volta era molto legato a Ahmed Maitig, vice premier libico, politico misuratino con forti contatti esterni, di cui è stato capo dello staff, ma “poi lo ha tradito”. “Nel momento in cui il rapporto tra Fayez Serraj (il premier nominato dall’Onu, ndr) e Maitig è entrato in crisi, l’ambasciatore, s’è spostato su Serraj. Però Serraj non lo sta prendendo in considerazione, e ora Tarhouni sta cercando di tornare indietro per avere maggior risalto e spazi futuri anche davanti a un premier che sembra non più solidissimo”.

È abbastanza noto che il primo ministro libico quando si muove in Italia usi (ancora) Hafed Gaddur come sherpa. Ex ambasciatore in Italia, prima ancora console a Palermo e poi diplomatico nella Santa Sede, ora Gaddur è il capo della diplomazia libica presso l’Ue, ma scende da Bruxelles per aiutare Serraj in appuntamenti come quello di Milano, con l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. Faccia a faccia avvenuto a inizio luglio negli uffici della prefettura milanese fuori dagli schemi diplomatici classici, e al quale Tarhouni non è stato nemmeno convocato (si dice perché Gaddur non abbia ottima empatia con lui).

Dall’Italia passa dunque una sorta di movimento con sede a Misurata che vorrebbe chiedere la rimozione di Tarhouni, ma pensa a un rinnovamento generale nel consiglio presidenziale fino al vertice massimo, Serraj e vari elementi collegati. Misurata rivendica un ruolo, non fosse altro per l’impegno profuso in questa fase, nel contenimento proattivo di Haftar (se dovesse cadere anche Tarhouna l’offensiva sarebbe praticamente naufragata) e prima, nel 2016, nello sconfiggere – insieme al supporto di Stati Uniti e Italia – la roccaforte del Califfato a Sirte.

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