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Il petrolio che brucia. Come e perché il doppio attentato a Saudi Aramco

Durante la notte due droni esplosivi sono stati lanciati contro due impianti della Saudi Aramco e hanno provocato grossi incendi. La compagnia petrolifera statale saudita, un gigante del mercato globale (attorno a cui da mesi si muovono delicatissimi interessi prima della privatizzazione parziale), ha dichiarato di aver aver messo sotto controllo il fuoco. Il ministro degli Interni da Riad ha parlato chiaramente di un attacco, ma non ha specificato gli autori.

Una degli impianti colpiti, Abqaiq, si trova 60 chilometri a sudovest dall’hub petrolifero di Dhahran, nella provincia orientale dell’Arabia Saudita, e contiene il più grande sistema di lavorazione del petrolio al mondo. La raffineria era stata già oggetto di un piano qaedista nel 2006, ma l’attentato era stato sventato. L’altro, Khurais, è 190 chilometri ancora più a sudovest, ed è posto sul secondo reservoir petrolifero più grande del paese. Si tratta di due impianti altamente strategici, asset fondamentale degli introiti sauditi.

Le tensioni nella regione sono aumentate nei mesi scorsi dopo gli attacchi di giugno e luglio alle petroliere nelle acque del Golfo. Azioni per cui Riad e Washington hanno accusato l’Iran.  Accuse negate da Teheran; che è comunque il cuore della crisi del Golfo, al centro delle dinamiche di smottamento dell’accordo sul nucleare e vittima dei movimenti politici interni, dove i Pasdaran vogliono guadagnare consensi dalla crisi attraverso un’agenda aggressiva e indipendente dalla linea più pragmatica del governo.

I droni sono già stati usati dai ribelli yemeniti Houthi, allineati all’Iran, in alcuni dei svariati attacchi oltre confine. I sauditi guidano una coalizione che sta cercando da oltre quattro anni di respingere l’offensiva degli Houthi, che ha rovesciato il governo di Sanaa e gettato lo Yemen nel caos di una sanguinosa guerra civile. I ribelli hanno colpito già il giacimento petrolifero di Shaybah, anche in quel caso (ad agosto) utilizzando droni kamikaze.  Attacchi analoghi erano stato condotto a maggio. In entrambi i casi si erano verificati incendi, che però non hanno interrotto la produzione in quegli impianti minori.

Aramco si prepara a far fluttuare le azioni già quest’anno come parte degli sforzi intrapresi dal corso politico imposto dall’erede al trono, Mohammed bin Salman, per diversificare l’economia dal petrolio. Ha assunto nove banche come coordinatori globali congiunti per guidare l’IPO e in settimana, dopo una riunione di banchieri a Dubai, le operazioni sono state accelerate.

Colpire le strutture petrolifere, in un momento così sensibile, è un modo per interferire con i piani sauditi, facendo sembrare il settore meno sicuro. Indirettamente l’attacco mina la vision di bin Salman, sovrano che ha rialzato l’assertività saudita nella politica regionale, dimensione detestata dai nemici del regno sunnita.

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