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L’Italia deve spendere se vuole sopravvivere. La manovra vista da Piga

I primi verdetti sono vicini. Entro il 27 settembre il governo giallorosso dovrà approvare la Nota di aggiornamento al Def dello scorso aprile dentro il quale sono contenute le previsioni sulla nostra crescita, sul nostro debito e soprattutto sul nostro disavanzo. Si tratta di un passaggio fondamentale in vista della manovra d’autunno (qui l’intervista della scorsa settimana a Stefano Fassina) dal momento che verrà fornito in un colpo solo perimetro e portata del bilancio pubblico per il 2020. In questi giorni fioccano le ipotesi su questa o quella misura o sforbiciata. Ma alla fine ci sarà un’unica manovra. Quale? Formiche.net lo ha chiesto a Gustavo Piga, economista e docente di Economia politica a Tor Vergata.

Tra pochi giorni si comincerà a plasmare la manovra. Che cosa dobbiamo aspettarci?

Credo che sia abbastanza chiaro: c’è un fortissimo odore di manovra fortemente restrittiva, ricordiamoci che un deficit quando viene abbassato, questo viene fatto con tagli o tasse. Attualmente il nostro deficit viaggia al 3% del Pil, ma credo che questo governo confermerà gli impegni presi con l’Europa e cioè un disavanzo al 2%, se sarà grasso che cola al 2,3%. Direi che ottimisticamente avremo un deficit al 2,3%, pessimisticamente al 2%. Di conseguenza parliamo di una manovra che parte rispettivamente da 12 0 18 miliardi.

Dobbiamo aspettarci anche una revisione della crescita?

Ci sarà una revisione del Pil, che già non va molto bene. Potremmo passare dallo 0,8% per il 2020 allo 0,5% e parliamo di una stima, se includiamo la manovra, molto ottimista. Il governo urlerà che un deficit al 2,3% è una grande conquista. Ma non è così.

Perché?

Perché stiamo parlando di un malato terminale, l’economia italiana. Avremmo bisogno di una manovra espansiva, basata sugli investimenti pubblici e invece rischiamo di staccare ulteriormente la spina con danni notevolissimi. Un vero peccato perché le condizioni per mantenere un deficit al 3% c’erano tutte con un ministro come Roberto Gualtieri. Non capisco quale sia il valore aggiunto di un ministro che conosce l’Europa se poi quello che portiamo a casa dalla stessa Europa sono briciole.

Davvero era possibile un deficit al 3%? Forse con il Patto di Stabilità mai così in discussione…

Era il momento giusto per un deficit al 3%. La paura dei sovranisti avrebbe dovuto far ragionare un po’ tutte le parti in causa. Il governo gialloverde, tra tanti errori commessi, aveva spaccato un pochino il Fiscal compact, creando le premesse per non rispettarlo. Bastava fare un passo in più ovviamente nel rispetto delle regole di Maastricht. Poi comunque si sarebbe posto un problema e cioè scegliere se tenerci un deficit al 3% senza fare nulla, rimanendo indifferenti. Oppure c’era un’altra strada.

Sarebbe?

Mi rifaccio a una proposta molto interessante del ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti. Il quale ha chiesto di poter fare investimenti pubblici per l’istruzione. Dove trovare i soldi? Fioramonti non ha detto di fare nuovo deficit, dunque rimanendo al 3%. Semmai individuare una nuova tassa che sia il meno intrusiva possibile. Questo ha un senso: io investo di più ma finanzio l’investimento con le tasse e non con il deficit e questo perché in questo caso l’effetto dell’investimento pubblico è subito positivo e benefico e prevale sul danno della tassa per finanziarlo. In altre parole, se faccio investimenti pubblici finanziati con tasse l’effetto positivo è maggiore di quello negativo, il tutto senza toccare il deficit. Ma non vedo nulla di tutto questo nel dibattito.

Ci siamo dimenticati dell’Iva. 23 miliardi di spesa.

La questione è complessa ma in realtà non ne servono 23, ma quasi 16. E questo perché ci sono un po’ di soldi oltre al deficit: il minor tiraggio di quota 100 e reddito di cittadinanza, il risparmio sul debito grazie allo spread minore e la fatturazione elettronica. Non dobbiamo trovarne 23 ma 16. Date le premesse di questo governo che ha sempre respinto l’ipotesi di un aumento dell’Iva, occorrerà trovare altre tasse per disinnescarla.

Il premier Conte ha parlato in questi giorni di green new deal, un massiccio piano di investimenti nel verde. Realtà o finzione?

Credo che con la scusa del verde il governo potrà giustificare un aumento del deficit al 2,3%, il problema è che noi abbiamo bisogno di un disavanzo al 3%, poi se sono tutti investimenti verdi va benissimo. Anzi, già Obama nel 2010 ha tirato fuori l’economia americana dalle secche grazie a investimenti sostenibili. Ma sono briciole rispetto alle esigenze reali di questo Paese.

Draghi ha detto che chi può deve spendere. Non parlava di noi…

Draghi dice che ci sono Paesi che possono spendere perché hanno un basso debito e invece Paesi che non possono farlo perché hanno un debito alto. Ma non è così. Perché l’alto debito italiano è il frutto di otto anni di politiche di austerità continue per la riduzione del deficit, che hanno portato a far crollare la nostra economia più di quanto si sia ridotto il deficit. Il debito sale per colpa dell’austerità che leva ossigeno all’economia. La politica fiscale espansiva deve essere per tutti non solo per chi ha i conti a posto. Negli Stati Uniti si fanno investimenti sia nel povero Mississipi sia nella ricca California, senza guardare in faccia a nessuno. Non si è capito che se continuiamo a tirare la corda, faremo rientrare i sovranisti dalla finestra o dall’uscita di servizio. Non so perché si voglia fare dell’Italia il laboratorio europeo del masochismo mondiale.

Piga diciamocelo, questo governo sopravviverà alla manovra?

Sì e senza nessun problema perché c’è un collante fortissimo, l’elezione del prossimo Capo dello Stato tra due anni. La domanda è semmai un’altra. E cioè, tra due anni riusciremo ad arginare una sommossa, con l’economia che continua ad andare male? L’Italia ha avuto un partito che ha rappresentato il dolore, il Movimento Cinque Stelle. Ma ora che il Movimento non rappresenta più gli interessi delle persone in difficoltà, è rimasto solo un partito a rappresentarli, la Lega. Un partito contro l’Europa. Quindi è l’ultimo appello, altrimenti dovremo porci il problema dell’uscita dall’Ue perché o si risolvono i problemi della gente o ci sarà una rottura con l’Europa. Dobbiamo rimettere al centro la felicità delle persone, la dignità. Una volta che c’è una frattura tra un Paese e l’Ue non si risana più, quando si divorzia è per sempre. Noi stiamo giocando con il fuoco per uno 0,7% di Pil.

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