Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

 

ultima rivista formiche
ultima rivista airpress

Le elezioni russe, la legacy di Putin e il caso Moscopoli. Parla Igor Pellicciari

Una battuta d’arresto che ha fatto sussultare la classe dirigente a Mosca ma non intacca ancora la leadership di Vladimir Putin. Così Igor Pellicciari, docente all’Università di Urbino e all’Università Mgimo per le Relazioni Internazionali a Mosca, legge le elezioni amministrative che domenica hanno tenuto i riflettori del mondo puntati sulla Russia dopo mesi di agitazioni, proteste di piazza e centinaia di fermi e arresti.

Professore, che bilancio fare delle elezioni amministrative?

I risultati vanno letti alla luce delle premesse. Le elezioni sono state accompagnate da una discreta fibrillazione nella leadership. Mosca è l’osservatorio principale del Paese, in città vive il 12% dei russi. Pochi Paesi dipendono tanto dalla capitale come la Russia. Non è un caso che in periodo sovietico tutte le trasmissioni iniziassero con la frase: “Parla Mosca”.

Quali erano i timori della classe dirigente?

Solitamente le elezioni amministrative non sono molto sentite in Russia. Queste erano state caricate di significato. C’era il timore di una modifica degli equilibri di potere. Non tanto per il Consiglio comunale, che ha poteri molto limitati, quanto per l’impatto sull’immagine della classe dirigente già agitata per la lotta interna fra tecnocrati e politici.

Il risultato ha confermato le aspettative?

Il voto ha creato qualche crepa interna al Cremlino. L’impressione prevalente ai piani alti dell’amministrazione è però quella di uno “scampato pericolo”. C’è stata un’importante flessione della maggioranza del sindaco di cui ha beneficiato principalmente il Partito comunista, ma deve essere letta in prospettiva. Quando Angela Merkel in Baviera prende il 30% tutti la considerano una battuta d’arresto, anche se in qualsiasi altro posto sarebbero considerate percentuali bulgare.

Putin come ne esce?

Il presidente non ha legato la sua immagine al risultato di questo voto. A dire il vero da tempo è in atto un’operazione di distacco dell’immagine del presidente da quella del suo partito Russia Unita, da molti considerato ormai una “bad company”. Così mentre Putin rimane in alto nei sondaggi di gradimento, il partito è diventato il parafulmine su cui convogliare tutta l’insoddisfazione dell’elettorato e il malcontento per la corruzione e l’assenza di senso politico.

Per questo diversi candidati si sono presentati come indipendenti?

Esatto. Ricordano un po’ le liste civiche che di volta in volta si presentano alle elezioni italiane alleate al centrosinistra rifiutando il simbolo del Pd quando l’immagine del partito è debole.

Le manifestazioni delle opposizioni hanno sortito gli effetti sperati?

C’era grande tensione al Cremlino alla vigilia del voto. La Russia è un enorme elefante che può essere abbattuto da un singolo “silver bullet”. È un Paese ipercentralista che verte tutto sulla capitale, una manifestazione antigovernativa nel centro di Mosca ha un enorme impatto. Il clamore è stato inferiore alle aspettative, ma il governo non può ancora tirare un sospiro di sollievo. Torneranno in piazza presto.

Come leggere invece il dato dell’astensione?

L’affluenza bassa è tipica delle elezioni comunali. In questo caso ha aiutato una strategia perseguita con successo dal governo.

Quale?

Hanno fatto coincidere la data delle elezioni con le celebrazioni dell’anniversario di Mosca. È un momento di svago popolare che i cittadini moscoviti, specialmente le classi medio-basse, attendono con ansia.

Panem et circenses.

Il traffico è stato chiuso dal Cremlino a piazza Pushkin, le strade sono state inondate di migliaia di persone festanti, riempite di coreografie, palchi, giochi e attività rigorosamente gratis.

Non è il massimo della democrazia.

Senz’altro. Ma alla fine ha raggiunto lo scopo prefissato. Una massa festante e apolitica non ama essere interrotta da una manifestazione di una minoranza, per quanto motivata o condivisibile.

Queste amministrative non sono sentore di una parabola discendente per Putin?

È ancora presto per parlare di passaggio del testimone. La scadenza è fissata al 2024. In Occidente però troppo spesso si legge il futuro della politica russa e della leadership del presidente in termini di una successione imperiale. Non è così.

C’è qualcuno pronto a sfidare la leadership del presidente?

Se c’è non è detto che Putin sappia il nome. Troppo spesso immaginiamo il presidente russo alla stregua di un re assoluto, è una semplificazione. Per anni Putin è stato mediatore di diverse anime della funzione pubblica. Il suo successore non sará individuato dalla mattina alla sera e probabilmente la scelta non dipenderà solo da Putin ma anche dagli orientamenti del’amministrazione del Presidente, uscita rafforzatissima da questi due decenni.

Quindi non c’è ancora il nome di un competitor?

Fino al giorno prima della loro elezione conoscevamo poco o nulla di figure come Andropov, Černenko, Gorbachev, Putin, sarà così anche per il suo successore. Non necessariamente un competitor. La continuazione della struttura di potere è un leitmotiv della storia russa.

Gli oligarchi di cui si sente spesso parlare esistono ancora? Hanno risorse sufficienti per una discesa in campo?

Esistono eccome, ma si sono adeguati al contesto politico. Venti anni fa in Russia ricchi e potenti coincidevano. Oggi questa aderenza non c’è, conta molto di più avere consenso che denaro. Da anni il primato della politica domina a Mosca e ha tagliato fuori la vecchia figura di oligarca. In Russia un esperimento berlusconiano non potrebbe esistere. Michail Chodorkovskij era il “Berlusconi” russo, è finito in carcere in quello che è sembrato un “colpirne uno (degli oligarchi) per educarne cento”.

Di oligarchi come Konstantin Malofeev si è parlato in merito al caso Moscopoli. I nomi emersi nell’inchiesta sono davvero vicini al Cremlino?

Il sistema politico russo è più complesso di quanto immaginiamo. Gli interlocutori dell’hotel Metropol sembrano lobbisti più che emissari del governo.

Cosa pensa invece della trattativa?

La dinamica in sé non è anomala. La Russia da sempre aiuta i propri alleati acquistando materie prime a prezzi maggiorati o cedendo ciò che ha in abbondanza, energia in primis, a prezzi competitivi. Per farlo però ci sono uffici preposti, stanze nei ministeri, non c’è bisogno di farlo nella hall di un albergo. La cultura del sottobosco tanto cara alla politica italiana in Russia non esiste.

Il file rouge che unisce gli incontri degli italiani a Mosca è il filosofo Alexandr Dugin. È davvero una figura tenuta in conto dal Cremlino?

Dugin è una delle tante figure russe che la stampa occidentale ha frettolosamente elevato a “consigliere di Putin”. Equivale a dire che Vittorio Sgarbi è un fidato consigliere di Matteo Salvini. Ci sono personaggi ben più influenti sulla politica estera del Cremlino, penso a Sergei Karaganov, che inspiegabilmente passano sotto traccia nei media occidentali.

×

Iscriviti alla newsletter