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Qualcuno a sinistra vuole uccidere il centro. L’allarme di Fioroni

Moro e il popolarismo cattolico sono le basi del Pd. Ma oggi qualcuno tra i dem (D’Alema e Bersani) vorrebbe archiviare la stagione del Lingotto, eliminando il centro. È l’allarme che l’ex ministro dell’Istruzione, l’esponente cattolico Giuseppe Fioroni, lancia a Formiche.net e ragiona sulle prospettive democratiche alla luce delle nuove sfide dinanzi al segretario Nicola Zingaretti, certo che “più che dei trasformisti di cui il Pd purtroppo è pieno, c’è bisogno di chi non affossa la dottrina politica che ci accompagna dal nostro inizio”.

Pierluigi Castagnetti ha twittato: Non sottovalutare ItaliaViva, non solo per i numeri. Che ne pensa?

Renzi, anche dopo la scissione, ha giocato un ruolo determinante rimuovendo il veto nei riguardi dei grillini e favorendo il lavoro di Zingaretti per creare il nuovo quadro politico che si sta estendendo alle Regioni. Per questa ragione lo scisma non ha un senso e continua a non averlo per tanti nostri amici, ma bisogna però evitare il rischio di un atteggiamento che sembra fare a meno dell’esigenza di capire in profondità ciò che ha provocato la scissione.

Ovvero?

Non è solo la scissione di Renzi e del suo gruppo parlamentare, ma quella di un popolo e della propria sensibilità e dottrina politica. Occorre evitare quindi di banalizzare un’operazione che inciderà sulla postura elettorale del Pd. E va capito da subito che con questo raggruppamento ci dovremo rapportare, perché si tratta di un’iniziativa messa in pratica da chi ha guidato per anni, con discreti risultati, il nostro partito.

Le interviste di D’Alema e Bersani però tifano per il partito di Bandiera Rossa…

Quei ragionamenti si riverberano inevitabilmente all’interno del nostro partito. Mentre D’Alema ritorna al suo gioco eterno (“dobbiamo fare un partito di sinistra ed uno di centro autonomo”), Bersani ci dice che il centro non esiste e che va archiviato, quasi come la battuta di Bettini, ovvero che il centro ha più eletti che voti. Dimostrano che alla nostra sinistra c’è uno stato confusionale notevole: poche idee e confuse. Ma su un punto concordano: l’esperienza piddina del Lingotto, di cui sono stato il primo segretario organizzativo, è finita. Per cui questo dibattito è un qualcosa che ci riguarda. Quando c’è chi esce e c’è qualcuno che entra, il prodotto finale rischia di essere diverso dalle intenzioni di chi fondò il Pd.

Quale allora la partita del Pd del futuro?

Non si giocherà sulle porte aperte o chiuse, ma su come il partito che anche io ho contribuito a fondare si porrà sulla questione del centro, del popolarismo e del cattolicesimo democratico. In passato mi ha colpito il fatto che quando disquisivo di Moro e di cattolicesimo per non iscriverci alla socialdemocrazia europea, il mio amico Renzi lo definiva un dibattito fra dinosauri. Oggi vedo che in tanti tweet, Renzi ricorda proprio Moro e il cattolicesimo, perché è in quella dottrina politica, che non è un movimento culturale ma un elemento sostanziale del partito, che ha preso forma il Pd del Lingotto. Il popolarismo e il cattolicesimo democratico non sono il renzismo, ma una storia politica che viene prima di noi e che ci sarà anche dopo di noi.

Bettini sul Foglio ha annunciato che non vuole fare mix con i grillini.

Ma ha dato vita anche ad un’altra preoccupazione che condivido: che la separazione tra sinistra e centro vuole ridurre entrambe le categorie a formula di pigrizia o di rassegnazione, ciascuno con le proprie correnti. Vorrei precisare che le correnti da abolire sono quelle che cercano poltrone, non quelle che diffondono la dottrine politica, vera linfa di un partito che non vuole essere “sotto il vestito nulla”. Se Bettini è preoccupato per il rischio di una generale demotivazione, per cui queste culture si adagiano difendendo solo il passato come identità, dico che sono d’accordo. Anzi, chiedo che tale dibattito raddoppi.

Come allora questo dibattito interno al Pd potrà ripercuotersi sulle strategie renziane e sui potenziali ingressi in ItaliaViva?

Il rischio di ipotizzare una riforma del Pd in chiave di omologazione, in un unico sentiment della sinistra, si associa guarda caso all’idea che la presenza dei cattolici democratici e dei popolari sia affiancata solo ad azioni di solidarietà verso i bisognosi. Pensare che il cattolicesimo democratico e il popolarismo nel Pd siano solo gli assessori al sociale non mi convince. La grande sfida che Zingaretti oggi ha dinanzi a sé è quella di ripensare un Pd dove tutte le anime hanno una loro consistenza ideale che va rilanciata per produrre idee e progettualità. E da lì fare sintesi. Questo deve essere il quadro di un partito che nasce e resta plurale, convinto che più che dei trasformisti di cui il Pd purtroppo è pieno, c’è bisogno di chi non affossa la dottrina politica che ci accompagna sin dalla nostra nascita.

twitter@FDepalo

 

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