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Governo giallorosso? Addio rivoluzione fiscale. La versione di Nicola Rossi

La politica e i suoi giochi hanno i loro tempi, l’economia reale e la finanza pubblica anche. E non sempre vanno di pari passo. Mentre il premier Giuseppe Conte è impegnato a tessere la tela a trama giallorossa per dar vita al primo governo Pd-M5S, l’orologio dei conti pubblici fa tic tac. Se davvero domani o al più tardi mercoledì vedrà la luce il nuovo esecutivo (orfano della Lega), ci sarà da serrare i ranghi per approvare entro il 31 dicembre la prossima manovra. Pena quell’esercizio provvisorio che farebbe scattare automaticamente l’Iva. Tra giuramento dei ministri e fiducia delle Camere, l’esecutivo demo-grillino, su cui i mercati scommettono da settimane (spread a 165 punti base oggi) non sarà operativo prima di dieci-dodici giorni. E il 27 settembre c’è la prima scadenza importante, l’approvazione della nota di aggiornamento al Def di aprile, che marca il perimetro della prossima legge di Bilancio. Naturale porsi una domanda. Visto e considerato il timing stringato e la natura profondamente diversa dei due nuovi azionisti di governo, fino a ieri su opposte barricate, che cosa finirà alla fine nella manovra? E su quali risorse effettive si potrà contare? Formiche.net ha chiesto il parere di Nicola Rossi, economista  e docente a Tor Vergata con un passato da parlamentare tra le fila dem e teorico della flat tax.

BUSINESS AS USUAL

“Dei due partiti che potrebbero costituire la nuova maggioranza uno era al governo fino a ieri e l’altro fino a poco più di un anno fa. Non credo che abbiano bisogno di periodi di acclimatamento. E non credo che essere da poco in maggioranza costituisca un limite particolare: assisteremo con ogni probabilità all’usuale balletto che con ogni governo di coalizione precede la legge di Bilancio”, spiega l’economista. “Circa l’esito, è difficile fare previsioni ma mi aspetto che si rinviino le cambiali (le clausole di salvaguardia), che si paghino le bollette scadute (le spese indifferibili) e che poi si accenda un cero a santa Flessibilità (dall’Europa, ndr) per poter fare qualcosa in più che comunque, a mio modo di vedere, non potrà che essere marginale. Per le coperture bisognerà rivolgersi agli stessi sportelli cui si era già rivolta la precedente maggioranza: la riuscita solo parziale dei provvedimenti bandiera del precedente governo, la riuscita (vera) della fatturazione elettronica, il ricorso più che altro rituale alla spending review ed alle spese fiscali, il miraggio della lotta all’evasione, un po’ di minori spese per interessi”. Nel complesso, dice Rossi, sarà ordinaria amministrazione, o quasi. “Al di là della retorica che accompagna qualunque legge di Bilancio, sarà business as usual

RIVOLUZIONE FISCALE ADDIO

Su una cosa Rossi è però sicuro. La manovra giallorossa, se così si potrà chiamare, non porterà in dote quella rivoluzione fiscale che la Lega avrebbe voluto riassumere nella flat tax. “Direi che avremo raggiunto un risultato importante se non registreremo incrementi della pressione fiscale. Ma non mi sento di escluderlo. Sono pronto a scommettere invece che riduzioni della pressione fiscale saranno previste a due o tre anni data (e cioè a babbo morto): è così da decenni. Certamente possiamo dimenticare l’ipotesi di una organica riforma del sistema fiscale (di cui peraltro avremmo un disperato bisogno). Mentre possiamo – credo – aspettarci una nuova puntata della strategia di lotta all’evasione fatta di inasprimento delle pene e più in generale di obblighi e vincoli crescenti ai comportamenti dei contribuenti che le imposte le pagano o hanno tutta l’intenzione di farlo”.

LA SCOMMESSA DEI MERCATI

L’economista si sofferma poi su un altro aspetto che colpisce in questi giorni: la discesa dello spread tra i nostri rendimenti e quelli tedeschi, attestante la scommessa dei mercati internazionali sulla buona riuscita dell’operazione giallorossa. Come stanno le cose? “I mercati festeggiano il fatto di non doversi preoccupare, almeno per un po’, del rischio denominazione e cioè della eventualità di una uscita dall’area dell’euro. Per quanto tempo non è chiaro (i numeri parlamentari non mi sembrano così a prova di bomba)”. Tuttavia, “molto più che in altre occasioni, l’intesa fra Pd e M5S ha senso politico se si rivela in grado di generare un governo di legislatura. E di questo credo che i protagonisti siano perfettamente consapevoli”.

CONTE, L’EUROPA E IL 3%

Per mantenere calmo lo spread potrebbe aiutare e non poco un allineamento del nuovo governo alle regole del Patto di Stabilità che regola i bilanci degli Stati membri. E chissà a cosa pensava ieri proprio Conte quando intervenendo alla Festa del Fatto a Marina di Pietrasanta, parlava di revisione del Patto a partire dal tetto del 3% al deficit. “Mi pare il preambolo per l’ennesima richiesta di flessibilità che – come sappiamo dalle improvvide dichiarazioni di Oettinger (Gunther, commissario Ue uscente al Bilancio, ndr) – ha discrete probabilità di essere sia pur parzialmente accolta. Per la riscrittura del Patto di Stabilità, se ci sarà, bisognerà aspettare mesi e non è affatto detto che la nuova versione del patto finisca per essere dal nostro punto di vista meglio dell’attuale”.

 

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