Skip to main content

Meno Salvini, più Trump. Ecco il Conte 2 in bella mostra sul Washington Post

Moderato ma non troppo. Giuseppe Conte torna a sferzare il fu vicepremier Matteo Salvini. Lo fa in un’intervista concessa al Washington Post a margine dell’Assemblea generale dell’Onu a New York. “Durante gli ultimi mesi di governo era chiaro che qualcosa andava storto – ricorda il presidente del Consiglio bis in una lunga conversazione con Lally Weymouth – era impossibile proseguire mentre qualcuno continuava a lavorare per se stesso o per il suo partito e non per l’interesse comune”.

Conte ripercorre le fasi della crisi d’agosto, la bagarre in Parlamento, il nuovo incarico ricevuto da Sergio Mattarella, le trattative per dar vita al governo rossogiallo. Spiega con una velata punta d’orgoglio che il nuovo esecutivo e la sua permanenza a palazzo Chigi hanno ottenuto la benedizione di capi di Stato e di governo esteri. “Non direttamente – si affretta a precisare – “nessuno ha interferito nella vita politica italiana”.

Prima al G7 Biarritz, dove l’“avvocato del popolo” ha sentito “tante parole di incoraggiamento dai leader presenti”. La maggior parte di loro, continua Conte, “ha apprezzato il mio discorso al Senato”. Poi nelle ore più delicate della gestazione dell’esecutivo Pd-Cinque Stelle, quando su twitter Donald Trump lo ha definito “un uomo di grande talento che mi auguro rimanga Primo ministro”. Un colpo basso per la Lega di Salvini, che sul sogno di una special relationship con Trump ha costruito un’intera fase politica. “È stato molto Gentile con me” chiosa il premier.

Un’ultima stoccata all’ex numero uno del Viminale arriva sul mai risolto caso Moscopoli. “Salvini si è rifiutato di andare in Parlamento, ma io come primo ministro ci sono andato perché mi sono sentito obbligato ad essere trasparente – dice Conte – in quell’occasione ho chiarito tutte le informazioni che avevo ottenuto. Salvini invece non ha mai chiarito la sua posizione”.

A legger bene fra le righe l’intervista è un continuo richiamo a Trump e allo Studio Ovale. Conte strizza un occhiolino dopo l’altro al presidente Usa. Tempismo non casuale. Fra pochi giorni è atteso a Roma il capo della diplomazia americana, l’influentissimo segretario di Stato Mike Pompeo, che avrà qualcosa da ridire al governo italiano. Cina, 5G, Iran, Venezuela, tanti i dossier in sospeso fra i due partner che richiedono un chiarimento dopo un anno e mezzo di ambiguità.

Per di più sono ore di alta tensione fra Stati Uniti e Ue. La Wto (World Trade Organization) è pronta a riconoscere al governo americano il diritto di imporre dazi per 7,5 miliardi di dollari sull’export europeo dopo aver vinto il ricorso contro gli aiuti di Stato alla francese Airbus nel 2016. Una stangata che colpirà il made in Ue ma anche il Made in Italy, con il settore agroalimentare e le eccellenze italiane pronte a vedere dazi e tariffe schizzare alle stelle. Mai come ora è importante dunque mandare messaggi di distensione alla Casa Bianca.

Ecco il primo: non è vero che sull’immigrazione il nuovo governo italiano vuole azzerare la linea dura, tutt’altro. “Siamo contro l’immigrazione illegale e combatteremo contro trafficanti e schiavisti, che davvero rappresentano un pericolo per i migranti” spiega Conte alla firma di punta del Washington Post. Il premier rivendica l’accordo con Francia, Germania e Malta, ma si mostra ben più cauto delle scorse settimane.

Anzi, riserva a Bruxelles una battuta al vetriolo: “per il momento, i rifugiati che arrivano in Italia rimangono in Italia. L’Italia è stata lasciata da sola”. Il meccanismo di redistribuzione deve essere proposto e controfirmato da più Stati, a cominciare da “Spagna e Grecia, e poi tutti i Paesi membri Ue”. Quando la Weymouth gli chiede se non teme di fare la fine di Angela Merkel, che aprendo i confini a un milione di migranti e rifugiati nel 2015 ha dato il via al declino della sua carriera politica, Conte risponde secco: “Noi non stiamo dicendo loro di venire in Italia. Manterremo una posizione dura contro l’immigrazione illegale, non possiamo accettare che chiunque entri nel nostro territorio. Quando arriveranno rifugiati li redistribuiremo”.

Prima di chiudere il premier pugliese riserva un’altra carezza a Trump. All’Onu il presidente Usa ha tenuto un accorato discorso in difesa della “libertà religiosa” nel mondo, una battaglia divenuta simbolo della sua amministrazione e probabile cavallo di battaglia della campagna elettorale per il 2020. Il tema è di grande attualità perché costituisce un ponte prezioso con cui il governo Usa vuole riallacciare i rapporti con il Vaticano di papa Francesco, non sempre idilliaci negli ultimi tre anni. Ne parleranno il cardinale Pietro Parolin e lo stesso pontefice con Pompeo nella sua breve visita romana. Conte ha menzionato il tema nel suo discorso all’Onu e ribatte il ferro nell’intervista: “credo sia un’ottima iniziativa”.



×

Iscriviti alla newsletter