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Migranti, opportunità e limiti dell’Operazione Sophia (prorogata). Il report del CeSI

Tra le sfide della Commissione Ursula e del Conte 2 c’è un nuovo accordo europeo per affrontare la crisi dei migranti, dalle azioni di monitoraggio in mare fino al delicato punto della ridistribuzione. In tale dibattito, si inserisce anche l’Operazione EuNavFor-Med Sophia, fresca di proroga di sei mesi da parte del Comitato politico e di sicurezza dell’Ue, ma ancora carica di critiche e divergenze tra gli Stati membri. Eppure, andrebbe rilanciata, almeno secondo il recente report del Centro studi internazionali (CeSI), dal titolo “La salvaguardia della sicurezza del mediterraneo e la proroga del mandato di Operazione Sophia”, a cura di Alessandra Giada Dibenedetto, analista Difesa e sicurezza.

PRIMA DI SOPHIA

Il dibattito attuale segue le orme di una discussione avviata dal 2013, quando la crisi migratoria fece il suo prorompente ingresso nel Vecchio continente. Allora, fu l’Italia a prendere iniziativa, con l’Operazione Mare Nostrum che vedeva “più di 900 uomini erano coinvolti in una missione che costò al Governo italiano 9 milioni di euro al mese, a testimonianza di uno sforzo economico, umanitario e politico ragguardevole”. Eppure, nonostante i risultati raggiunti (150mila salvataggi in mare) “la missione era stata fortemente criticata dai suoi detrattori, i quali ritenevano che la prossimità alle coste libiche dei mezzi navali italiani agevolasse il traffico illegale di essere umani anziché combatterlo”. Inoltre, per un biennio, lo sforzo europeo gravò esclusivamente sull’Italia, che decise dunque di chiudere l’operazione e rimettere all’Ue la gestione della crisi. Nacque l’Operazione Triton (oggi Themis1) sotto egida di Fronte. Nonostante le finalità condivise, “l’operazione non disponeva delle risorse operative e finanziarie necessarie a gestire il fenomeno in atto; di conseguenza, i vertici europei decisero di irrobustire il loro approccio alla crisi migratoria e di passare dalla semplice fornitura di assistenza umanitaria ad una vera e propria lotta contro i trafficanti dando vita, nel luglio 2015, all’operazione navale europea EuNavFor-Med, altresì chiamata Operazione Sophia”.

GLI OBIETTIVI

“La missione è finalizzata a smantellare la rete criminale dei trafficanti di uomini e a salvare vite in mare ed è strutturata su quattro fasi distinte come previsto dal relativo mandato: raccogliere informazioni sul modus operandi dei trafficanti di uomini (fase 1); fermare, ispezionare e sequestrare imbarcazioni sospettate di essere usate per la tratta di esseri umani in alto mare (fase 2A) e successivamente in acque territoriali libiche (fase 2B); neutralizzare le imbarcazioni e le strutture logistiche usate dai trafficanti anche sul suolo libico (fase3); ritiro della task force e completamento dell’operazione (fase 4)”. Qualcosa è però andato storto. “Data l’altamente instabile situazione libica e il protrarsi della guerra civile e, con essa, della proliferazione di fenomeni criminali, operazione Sophia non è andata oltre la seconda fase del mandato e la sua area di azione si è fermata alle acque internazionali del Mar Mediterraneo centro-meridionale”. Ad oggi, ricorda il CeSI, “l’operazione ha contribuito a neutralizzare più di 550 imbarcazioni, ha fornito corsi formativi a più di 350 ufficiali libici, ma non è riuscita ad affrontare le radici del problema e combattere il business dei trafficanti di uomini”.

IL DIBATTITO EUROPEO

Al centro della questione ci sono anche “le normative che regolano le procedure di sbarco dei migranti soccorsi nelle operazioni Sar della missione”. Nel dettaglio, spetterebbe all’Italia e a Malta accogliere i migranti portati in salvo in quanto porti di arrivo più vicini e sicuri rispetto all’area di azione di Sophia. Tuttavia, visti i flussi crescenti, il Conte 1 ha, sin dall’inizio, “suggerito una profonda modifica delle regole di ingaggio di operazione Sophia, proponendo una politica di rotazione degli sbarchi tra i Paesi Ue”. Poi, ricorda Dibenedetto, “è stata proposta anche una riforma del Regolamento di Dublino, al fine di garantire la gestione dei richiedenti asilo su scala europea e, quindi, una distribuzione più equa dei migranti approdati nel territorio italiano e maltese”.

LA DECISIONE TEDESCA

Su tutto questo non è mai arrivato l’accordo, e così lo scorso marzo il Consiglio Europeo ha deciso di prorogare il mandato di operazione Sophia sino ad ora. “Si era trattato di una sorta di rinvio tecnico in attesa di raggiungere un’intesa comune”. Eppure, “la Germania aveva deciso di ritirare i propri mezzi e staff dispiegati per l’operazione vista la mancanza di un accordo politico sui porti di sbarco e la posizione italiana in merito”. Così, la missione perdeva un “assetto navale chiave”, tanto che il Consiglio europeo decise di “sospendere, per lo meno temporaneamente, il dispiegamento delle forze navali e di lasciare all’operazione Sophia solamente gli assetti aerei”. Ma “se i velivoli possono garantire un’appropriata sorveglianza marittima e quindi incrementare la consapevolezza situazionale, l’assenza di una flotta navale rende complicata l’implementazione del lavoro svolto dagli assetti aerei e il conseguimento del mandato della missione”.

PROSPETTIVE FUTURE

Così, secondo il CeSI, appare evidente “che l’attuale governo italiano e i corrispettivi europei dovranno trovare al più presto un accordo al fine di rendere operazione Sophia, ancora in vita per ulteriori sei mesi, in grado di adempiere ai propri compiti, agire da deterrente contro i traffici illegali di esseri umani e di armi e contribuire a garantire sicurezza alle acque del Mar Mediterraneo centro-meridionale”. Per ora, “i risultati delle recenti elezioni europee danno la prospettiva di un nuovo dibattito sul tema e del raggiungimento di una intesa”, per un’operazione che il Centro guidato da Andrea Margelletti ritiene “di importanza strategica” e “necessaria per due ragioni fondamentali”. Primo, vista la crisi e l’instabilità libica, “sarebbe positivo garantire una presenza navale solida nell’area”. Secondo, il fattore Difesa europea. Il progetti di Bruxelles, ricorda il report, “prevede non solo maggiore collaborazione industriale in termini di sviluppo di assetti militari, ma anche un maggiore coordinamento nella gestione di eventuali crisi”. La fine di Sophia sarebbe per questo un forte “segnale negativo”.

LA SFIDE

Come rilanciare l’operazione? “Potrebbe essere valutata, ad esempio, la formulazione di un nuovo mandato che si concentri sulle attività di formazione della Marina e della Guardia costiera libiche, sperando, al contempo, in un miglioramento della situazione nel Paese. D’altronde, “l’operazione è solo una tessera di un mosaico più ampio che compone la strategia italiana ed europea per contrastare i traffici illeciti”. In più, “il proseguo di operazione Sophia può dimostrare alla comunità internazionale la volontà e la capacità europea di impegnarsi in modo collaborativo a gestire le crisi emergenti ai propri confini”. Infine, spiega il CeSI, “la regolare operatività della missione lancerebbe un segnale di solidarietà all’interno dell’Unione utile a bilanciare il recente crescendo di euro-scetticismo”.

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