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Thomas Cook, quando il marchio non basta per volare

Dopo 178 anni, Thomas Cook dichiara fallimento lasciando a terra 150.000 passeggeri e annullando un milione di biglietti futuri. Una crisi causata dal cambio del mercato dei viaggi e da errori di strategia. La sede inglese, i 22.000 dipendenti e 94 aerei non sono bastati a ottenere un prestito-ponte dal governo britannico. Finirà tutto nelle mani del socio di maggioranza cinese? “Siamo lieti di offrire gratuitamente i nostri servizi e tutte le stanze disponibili a qualsiasi turista che sia rimasto bloccato per conseguenza diretta della cessazione delle attività di Thomas Cook”. Il comunicato stampa di Lanzarote Retreats è una delle tante conseguenze dello stop alle attività di Thomas Cook, gruppo turistico con nove miliardi di sterline di fatturato, 19 milioni di clienti, 22.000 dipendenti e una flotta di 94 aerei, per due terzi Airbus,. Il Regno Unito ha già annunciato l’avvio di un’operazione di recupero dei propri cittadini bloccati all’estero, grazie al noleggio di 45 velivoli che già oggi dovrebbero riportare in patria i primi 15.000 britannici. Ma il Regno Unito rappresenta solo una parte di Thomas Cook, da molti anni passata sotto controllo tedesco e oggi controllata dal gruppo cinese Fosun.

La decisione di fermare le attività è stata presa nella notte, di fronte all’impossibilità di trovare i 200 milioni di sterline che avrebbero consentito di proseguire le operazioni e continuare a cercare una soluzione a lungo termine. Di qui la decisione di dichiarare fallimento e di passare la gestione al curatore fallimentare. Thomas Cook ha subito cessato l’attività commerciale nel Regno Unito, cancellando voli e pacchetti vacanze già venduti e passando alla Civil Aviation Authority la gestione delle attività di recupero. Per molti aerei è scattato il fermo da parte dei gestori per tutelare tasse e importi dovuti. Per quelli in leasing potrebbe presto scattare anche il recupero da parte delle società proprietarie.

Se viaggiatori britannici sono protetti dall’assicurazione obbligatoria introdotta nel 1973 per tutti gli operatori di viaggi organizzati dotati della Air Travel Organiser’s Licence (ATOL), con una tutela che oggi copre circa 20 milioni di passeggeri l’anno, restano escluse molte componenti del pacchetto, e la stampa inglese già diffonde storie di feste di matrimonio saltate. In alcuni mercati, il servizio aereo di Thomas Cook continua invece normalmente: la controllata tedesca Condor, che ha ottenuto i fondi per continuare a volare, resta per esempio in attività.

UNA CRISI CHE VIENE DA LONTANO

Se il tracollo può aver colto di sorpresa i clienti individuali, per gli addetti ai lavori si tratta piuttosto di una morte annunciata. La società combatteva da tempo contro due avversari enormi. Il primo è la trasformazione strutturale del settore dei viaggi, nei quali i tradizionali pacchetti “tutto compreso” venduti attraverso le agenzie hanno ceduto il passo all’auto-organizzazione resa possibile dai vettori low-cost e soprattutto dai loro siti internet come menù attraverso i quali prenotare alberghi, noleggi e ogni altro elemento della vacanza. Questo ha gradualmente eroso il mercato di chi, come Thomas Cook, guadagnava confezionando, vendendo e solo in parte (con i propri aerei) erogando il servizio. Si tratta di una crisi non dissimile a quella dei vettori charter, la cui reputazione di prezzi bassi non ha retto alla sfida delle low-cost.

A questo avversario esterno si è aggiunto quello interno. Fondata nel 1841, dal 2001 Thomas Cook era passata sotto il controllo della società tedesca C&N Touristic AG, subito ribattezzata per sfruttare la notorietà del marchio acquisito. Nel tentativo di adattarsi ai tempi, il management tedesco aveva lanciato una serie di iniziative che non sono andate a buon fine, come il Club 18-30, rivolto a una clientela giovane che per soddisfare la propria voglia di viaggiare preferisce rivolgersi proprio ai venditori online. All’acquisizione della compagnia charter tedesca Condor, avvenuta per gradi tra il 2000-2006, non seguiva l’integrazione fra i marchi del gruppo. Né ha aiutato la fusione del 2007 con MyTravel, gruppo inglese nato nel 1972 come Airtours, aggiungendo dopo qualche anno una propria compagnia aerea alla rete agenziale. La rete, in gran parte euro-mediterranea, si scontrava con la crescente espansione delle reti low cost. Per cinque anni, dal 2011 al 2016 Thomas Cook non era riuscita a distribuire dividendi. Nel 2015 entrava Fosun, che diventava poi l’azionista di maggioranza relativa.

CAMPANELLO D’ALLARME IN BORSA

La difficoltà di identificare una via di uscita si è rispecchiata nella graduale perdita di valore. Alla borsa di Londra il titolo Thomas Cook è sceso gradualmente dai 280 pence del 2008 ai 150 dell’estate 2018, fino ai 20 di maggio 2019, quando la società azzerava il valore del pacchetto MyTravel, una decisione che caricava i conti del primo semestre dell’anno di una perdita di 1,1 miliardi di sterline. I ripetuti profit warning hanno ulteriormente eroso la fiducia degli investitori, tanto che in maggio – quando la società valeva circa 738 milioni di sterline, a fronte di altrettanto indebitamento – gli analisti di Citigroup avevano detto che le azioni non valevano più nulla. Il 12 luglio Thomas Cook aveva annunciato di cercare un investimento di 750 milioni di sterline per rilanciarsi, mentre il governo britannico rifiutava un prestito di continuità di 250 milioni.

Poiché piove sempre sul bagnato, alle difficoltà strategiche si erano aggiunte quelle tattiche causate dalla calda estate 2018 (che spinse meno inglesi ad andare in vacanza all’estero) e dalla Brexit (che ne ha spinti altrettanti a restare a casa).

E il futuro? Qualsiasi previsione è azzardata, ma molti occhi sono puntati su Fosun. L’azionista cinese potrebbe rilevare la società dal liquidatore a un prezzo modesto e proseguirne l’attività. Molti ritengono però che la memoria delle decine di migliaia di persone appiedate possa aver danneggiato irrimediabilmente l’antico marchio, costringendo a rilanciarlo sotto un altro nome. O a rinunciare del tutto. Fino al 6 ottobre, comunque, la notizia principale sarà quella del rimpatrio dei passeggeri bloccati in 51 località dalla California all’Egitto.

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