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Trump convince gli europei: ora l’Iran deve negoziare la sicurezza regionale

Francia, Gran Bretagna e Germania hanno dichiarato lunedì che è ormai chiaro che è l’Iran il responsabile dell’attacco alle strutture petrolifere saudite di sabato 14 settembre, e hanno invitato Teheran a concordare negoziati sui suoi programmi nucleari e missilistici e sulle questioni di sicurezza regionale.

“È giunto il momento per l’Iran di accettare un quadro negoziale a lungo termine per il suo programma nucleare, nonché questioni di sicurezza regionale, che includano i suoi programmi missilistici”, scrivono testualmente i tre governi in una dichiarazione congiunta dopo che il presidente francese Emmanuel Macron, il primo ministro britannico, Boris Johnson, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, si sono incontrati durante la riunione annuale delle Nazioni Unite.

Si tratta di un passo sostanziale, perché gli E3 (i tre europei), sono i paesi che dal maggio dello scorso anno dialogano intensamente con l’Iran per cercare di tenere in piedi il Jcpoa. Quando l’accordo sul nucleare del 2015 s’è visto erodere le fondamenta con il ritiro trumpiano e la conseguente reintroduzione delle sanzioni statunitense, gli europei — cofirmatari nel sistema multilaterale chiamato “5+1” — hanno provato a puntellare attraverso un contatto continuo con gli iraniani. Per mesi lo schema è stato questo: gli E3 hanno tenuto aperti i rapporto con l’Iran, nonostante le pressioni degli americani, che chiedevano invece di seguire una linea dura secondo la tattica della massima pressione con cui portare allo stremo Teheran e costringerlo a negoziare un altro, più ampio accordo.

Il dossier Iran è stato per lungo tempo uno degli elementi di maggiore distanza tra i due blocchi transatlantici, con Teheran che ha a sua volta pressato gli europei incolpandoli di non essere in grado di creare un meccanismo economico-finanziario per aggirare le misure extraterritoriali statunitensi e dunque di non essere stati capaci di preservare la linea commerciale che era stata riaperta dall’accordo — aspetto fondamentale, che aveva permesso ai pragmatici del governo iraniano di mettere a tacere le critiche con cui gli oltranzisti aggredivano dal punto di vista ideologico anche solo la possibilità di una qualche intesa col Grande Satana, il nemico americano.

Nella dichiarazione congiunta gli E3 non solo accusano l’Iran per l’attacco che ha dimezzato le produzioni saudite e scombussolato il mercato globale del petrolio, ma come detto chiedono a Teheran una presa di responsabilità sul quadro complessivo, la stabilità della regione mediorientale. È un aspetto nevralgico. Perché ammette implicitamente il fallimento di uno dei presupposti profondi del Jcpoa stesso, la creazione — attraverso il congelamento del programma nucleare militare iraniano e la collegata riqualificazione diplomatica ed economica della Repubblica islamica — di un’architettura di sicurezza. Praticamente sembrano accettare il presupposto del piano del presidente americano Donald Trump, che ha ritirato gli Usa dal Jcpoa (anche sotto le pressione degli alleati mediorientale) proprio perché riteneva l’accordo carente sotto il profilo più largo della stabilità complessiva.

L’Iran è accusato di portare avanti una politica aggressiva attraverso attori collegati, gruppi ideologicamente ed economicamente in simbiosi con Teheran, partiti/milizia come gli Hezbollah libanesi collegati non tanto con i pragmatici al governo quanto con il mondo dei Pasdaran, stato nello stato in cui si muovono le posizioni reazionarie, anti-occidentali e nazionaliste, che hanno una visione assertiva e bellicosa della proiezione internazionale del paese. Sono i Pasdaran, collegati alla frangia più dura della teocrazia, a essere incolpati dell’attacco al petrolio saudita e dei sabotaggi alle petroliere dei mesi scorsi, sono sempre loro ad aver rivendicato l’abbattimento di un drone americano sopra Hormuz; sempre loro responsabili, tramite l’unitá Quds (che segue le operazioni internazionali e quelle clandestine) del sostentamento dei proxy in Libano, Iraq, Yemen, Palestina, Afghanistan per espandere influenza.

Ieri all’Onu ha parlato Hassan Rouhani, il presidente  la cui linea è semplificata spesso in “moderata” (meglio pragmatica forse, ndr) che avrebbe dovuto incontrarsi con Trump, passo storico ibernato dall’attacco agli impianti sauditi. Rouhani ha annunciato che il suo paese intende creare una coalizione per garantire la sicurezza lungo le rotte petrolifere del Golfo Persico in una partnership (improbabile per quanto sarebbe complicata) con i sauditi e altri paesi del Golfo. Rouhani parlava del suo obiettivo, “creare pace e stabilità” nella regione, ma proprio mentre pronunciava quelle parole razzi Katyusha piovevano contro un edificio vicino all’ambasciata americana nella Green Zone di Baghdad; a colpire probabile sia stata una milizia irachena amica dell’Iran lanciava come già successo il 19 maggio.

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