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Usa nel Mar Cinese. Le esercitazioni con gli Asean, il confronto con la Cina

Questa settimana il bacino delicatissimo del Mar Cinese Meridionale è oggetto di un’esercitazione congiunta tra Stati Uniti e i dieci paesi dell’Asean, ossia i membri del gruppo di stati che compongono l’Associazione delle nazioni del Sud-est Asiatico. Alcuni di questi, come il Vietnam (ora uno dei migliori alleati americani nella regione) Taiwan, Filippine, Brunei, Malesia hanno rivendicazioni su quelle acque in aperto contrasto con la Cina.

Pechino è l’attore principale nella regione e ha interessi fortissimi su quel territorio per via della centralità delle rotte commerciali che lo tagliano, delle zone di pesca inglobate, delle potenzialità sul campo delle risorse naturali. Soprattutto, per il governo cinese avere il controllo di quel tratto di mare è fondamentale per sostenere le pretese globali: come potrebbe essere credibile una grande potenza che non riesce a esercitare un livello di forza (politica, diplomatica, economica e militare) sufficiente a controllare il proprio cortile di casa?

Sebbene storicamente i Paesi Asean siano stati restii a costruire un sistema di contrasto collettivo contro Pechino (che ha fatto in modo di spacchettare le singole pretese per poter negoziare in forma bilaterale e dunque con più leve, e s’è creata alleanze e timori), questa settimana — sotto la spinta di Washington — sembrano aver preso una linea diversa per contrastare la crescente influenza economica e la militarizzazione che la Cina sta forzando nell’area.

Il Mar Cinese e tutto l’aerale occupato è diventato un territorio di aspra competizione e confronto all’interno del quadro Usa-Cina (lo scorso anno anche i cinesi hanno condotto manovre simili con alcuni paesi Asean). Durante un’estate di forti tensioni sulle rivendicazioni territoriali, oltre a una crescente guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti, le esercitazioni di questa settimana vanno attentamente seguite come “l’ultima mossa in una partita a scacchi geopolitica ad alto rischio tra i superpoteri e i loro alleati regionali condivisi”, scrive il New York Times.

La richiesta di partecipazione alle esercitazioni congiunte avanzata dagli americani agli Asean spiega uno scenario delicato che innervosisce i paesi regionali: gli wargame con gli Usa segnano uno spostamento chiaro verso il polo statunitense del confronto, ma da Washington non stanno arrivando implementazioni di questa postura, che altresì mette a rischio quei paesi davanti al Dragone. E dunque questi si sentono sotto scacco.

Secondo il report della US Navy, le esercitazioni sono iniziate ieri, con la fase “pre-sail” nella base navale tailandese di Sattahip, e poi includeranno “una fase marittima in acque internazionali nel sud-est asiatico, incluso il Golfo di Thailandia e il Mar Cinese Meridionale”, passeranno dal Brunei e si concentreranno sul ” monitoraggio delle attività marittime” e nel “contrastare le minacce”. Uno degli aspetti interessanti delle manovre è l’utilizzo dei P-8 Poseidon in versione integrata: ossia, gli aerei da sorveglianza che gli Stati Uniti adoperano per monitorare, con immagini ad alta definizione, l’incremento della militarizzazione cinese su alcuni isolotti strategici tra quelle acque.

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Si tratta di posizionamenti pesanti, in alcuni isolotti delle Spratly e delle Paracel la Cina ha piazzato piste per l’atterraggio di bombardieri strategici, e da un’analisi delle immagini satellitari open source sembra che nella base di Hainan (provincia meridionale della Cina continentale, affacciata sul Mar Cinese davanti alle Paracel) Pechino abbia predisposto garage sottomarini scavati nella roccia dove piazzare i sommergibili nucleari. Una forma di deterrenza.

A luglio, una nave cinese per il rilevamento del gas e una scorta di navi militari sono entrate nelle acque della zona economica esclusiva vietnamita (ZEE). Hanoi l’ha denunciata come una violazione della propria sovranità territoriale. Il Pentagono la scorsa settimana ha accusato Pechino di compiere sforzi per “violare l’ordine internazionale basato sulle regole in tutto l’Indo-Pacifico”.    

Tre giorni fa, Regno Unito, Francia e Germania hanno diffuso una dichiarazione congiunta chiedendo sostanzialmente di evitare provocazioni che potrebbero portare a escalation e di seguire nella regione le direttive della United Nations Convention on the Law of the Sea (UNCLOS), di cui i tre paesi sono parte. Lo statement degli europei è un segnale che il bacino sta diventando piuttosto caldo. La Francia e il Regno Unito hanno già partecipato ad attività marittime nella regione secondo quelli che gli Stati Uniti chiamano Fonop(s), ossia passaggi di libera navigazione attraverso quelle rotte per dimostrare che le pretese cinesi sono ancora prive del riconoscimento internazionale.

(Foto: US Navy, la USS Montgomery  lungo lo stretto di Malacca)

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