Al momento nessuno tra Washington, Teheran e Riad ha interesse a giungere a un conflitto armato nel Golfo, dove pure la tensione resta alta.
A crederlo è Eugenio Dacrema, associate research fellow del Mena Centre dell’Ispi, che analizza in una conversazione con Formiche.net analizza le strategie degli attori in campo, i loro posizionamenti e i possibili sviluppi.
Dacrema, l’Iran ha sequestrato una nuova petroliera vicino allo stretto di Hormuz. Che cosa significa?
Rispetto alle recenti tensioni nella regione – mi riferisco in particolare al sequestro della petroliera britannica – non molto. Non è la prima volta che ciò accade, dal momento che la benzina in Iran è venduta a un prezzo fisso in valuta iraniana. E se ques’ultima perde valore, il costo della benzina diventa estremamente basso, e così viene spesso contrabbandato per essere rivenduto. Ciò non vuol dire che la situazione nell’area sia serena.
Che cosa sta accadendo nello stretto di Hormuz?
La tensione è alta, ma in fondo nessuno vuole l’escalation militare. Gli Stati Uniti mostrano i muscoli, ma Donald Trump non vuole scatenare una guerra prima della sua rielezione. E questa è stata, tra l’altro, una delle principali ragioni che hanno portato al defenestramento dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton. Allo stesso modo ai falchi iraniani fa comodo indebolire i moderati ravvivando lo scontro con gli Usa. Nessuno però trarrebbe invece beneficio da un conflitto vero e proprio, anche se l’incidente che potrebbe scatenarlo è sempre dietro l’angolo.
Crede che quanto accaduto alla raffineria saudita possa essere un potenziale elemento scatenante?
No, non penso. Trump, anche a fronte di un addebito chiaro all’Iran e di toni molto alti, ha detto anche che quanto accaduto in Arabia Saudita non impatterà economicamente sugli Stati Uniti che sono ormai indipendenti dal punto di vista energetico. Questo messaggio è stato colto in modo chiaro a Riad, dove non ci si aspetta che Washington prenda posizione anche dal punto di vista militare. Penso piuttosto che l’attuale inquilino della Casa Bianca ambisca a portare le tensione al massimo livello possibile con Teheran, per poi chiudere con un colpo di scena a sorpresa, come sta facendo con Kim Jong-un e la Corea del Nord. Questo è un po’ il suo stile e, anche se parliamo di Paesi molto diversi, non è detto che non possa funzionare. Anche l’Iran ha bisogno di trovare un compromesso che possa rilanciarne l’economia in difficoltà. E, infine, se guardiamo al caso specifico, anche l’Arabia Saudita sta, a mio parere, cercando di usare quanto accaduto a suo vantaggio.
In che modo?
Non credo alle tesi complottiste che ci circolano in queste ore, quindi sarò chiaro. Riad ha subito questo attacco, che non si aspettava e che la danneggia. Mohammed Bin Salman punta a finanziare molti dei grandi progetti infrastrutturali che ha in mente per il Paese con la quotazione del colosso petrolifero Saudi Aramco. E mostrare, come in questo caso, che gli asset sauditi sono così vulnerabili non potrà che rendere meno forte il suo valore agli occhi degli investitori. Detto ciò, è chiaro che l’Arabia Saudita punti da tempo a far alzare in modo stabile il prezzo del greggio, che ritiene troppo basso. E questa potrebbe essere un’occasione per riposizionarlo al rialzo.