C’è anche il nome dell’arcivescovo di Bologna monsignor Matteo Maria Zuppi, tra i dieci nuovi cardinali elettori che Papa Francesco nominerà nel corso del Concistoro indetto per il prossimo 5 ottobre, assieme ad altri tre vescovi ultraottantenni che si uniranno al collegio cardinalizio, come annunciato stamane durante l’Angelus. Si tratta del sesto Concistoro indetto dall’attuale pontefice, che in questo modo porta il numero di elettori a 128, in deroga al tetto dei 120 previsti da Paolo VI, a fianco di 100 cardinali non elettori.
“Vescovo di strada” che parla di “misericordia rivoluzionaria” e che invita i cattolici in politica a “stare con gli ultimi”, la figura di monsignor Zuppi è fortemente connessa alla comunità trasteverina di Sant’Egidio, la piccola “Onu di Trastevere”, secondo la fortunata definizione del giornalista Igor Man, capace di cogliere appieno il senso della “diplomazia parallela” operata dalla comunità romana, secondo alcuni sovente anticipatrice degli stessi preposti vaticani.
Zuppi è infatti cresciuto tra le fila di Sant’Egidio fin dagli inizi, accompagnandone i passi e diventandone Assistente Ecclesiastico Generale dal 2000 al 2012, fino ad esserne tutt’oggi uno dei maggiori consiglieri e interpreti assieme a monsignor Vincenzo Paglia, attuale presidente della Pontificia Accademia per la Vita e Gran Cancelliere del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia. Quest’ultimo, al centro di un recente acceso dibattito legato alla riformulazione di diversi corsi di studio nell’istituto vaticano, e giunto fino alla presa di posizione dei rappresentanti degli studenti stessi (qui l’articolo di Riccardo Cristiano su Formiche.net).
Intimamente amico del fondatore di Sant’Egidio Andrea Riccardi, intervistato proprio nella stessa giornata dell’annuncio della nomina a cardinale di Zuppi dal quotidiano della Cei Avvenire, intervista in cui il leader di Sant’Egidio assume una posizione apertamente favorevole alla nascita del governo giallorosso di accordo tra Partito democratico e Movimento 5 stelle, e del nuovo direttore della Sala Stampa Vaticana Matteo Bruni, anche lui cresciuto nell’ambito della Comunità di Sant’Egidio, l’opera per la risoluzione del conflitto in Mozambico, conclusasi nell’ottobre del 1992, insieme ad Andrea Riccardi, Jaime Gonçalves e Mario Raffaelli, è stata senza dubbio uno dei maggiori successi di monsignor Zuppi.
Fu infatti un accordo di pace storico, e inedito per il ruolo operato da uomini di Chiesa piuttosto che da rappresentanti di un’unità statuale, nell’ambito di un conflitto all’epoca del tutto dimenticato, che aveva già procurato un milione di morti e ancora più sfollati. Sant’Egidio in quell’occasione mise insieme il governo marxista di Maputo, all’epoca controllato dal Fronte di Liberazione del Mozambico, con il partito di Resistência Nacional Moçambicana, guidato prima dai servizi segreti della Rhodesia e poi dal Sudafrica, impegnati sin dal 1975 in una guerra civile, attraverso 27 mesi di intense e pazienti trattative sul campo, terminati con la firma degli Accordi di pace di Roma che sancirono la fine delle ostilità (qui il ricordo della mediazione in Mozambico dello stesso arcivescovo Zuppi durante un’intervista per L’Osservatore Romano).
L’impegno per la pace e l’apertura verso l’Africa rappresentano infatti due dei temi a cui l’arcivescovo di Bologna ha dedicato maggiore attenzione nel corso della sua missione ecclesiastica, assieme al dialogo interreligioso, alla sensibilità ecumenica, alla vicinanza ai poveri e all’accoglienza nella Chiesa delle diverse situazioni di vita dei fedeli, comprendenti in quest’ultimo caso anche il tema dell’omosessualità. “Al Sinodo nessun argomento è tabù”, disse infatti Zuppi in conferenza stampa, a margine del Sinodo dei giovani dello scorso ottobre.
D’altronde, lui stesso più volte si è inserito nel dibattito pubblico italiano riguardo al tema dei migranti. Da ultimo, soltanto pochi giorni fa in un’intervista al Corriere di Bologna in cui ha affermato, non tra i denti, e pur ribadendo che la Chiesa non prende posizione, che “l’accoglienza è un tema epocale”, ma altresì che “il populismo dà risposte sbagliate“. L’argomento, già in passato, costò al prelato un’accesa discussione con la sottosegretaria leghista Lucia Bergonzoni, scelta da Matteo Salvini come prossima candidata al governo dell’Emilia-Romagna, che in una discussione faccia a faccia con il prelato sul tema dei migranti si alzò dalla sedia per lasciare l’aula. Un gesto che, nonostante non ne sia ancora chiara la ragione, fece guadagnare alla vicenda i titoli di molti quotidiani nazionali. In un altro caso, monsignor Zuppi rivelò di aver ricevuto numerose lettere anonime di insulti e minacce, per avere pubblicamente affermato di non essere contrario alla realizzazione di una moschea a Bologna.
Nato a Roma l’11 ottobre 1955, ordinato presbitero il 9 maggio 1981 e nominato da Benedetto XVI vescovo ausiliare della Diocesi di Roma il 31 gennaio 2012, con successiva ordinazione episcopale il 14 aprile 2012, Zuppi è stato promosso ad arcivescovo metropolita di Bologna il 27 ottobre del 2015, anche in quel caso con forte volontà da parte dell’attuale pontefice, e nel capoluogo emiliano si è trovato a raccogliere un’eredità pesante, quella del compianto cardinale Carlo Caffarra, e prima ancora del cardinale Giacomo Biffi. Zuppi celebrò le esequie di Caffarra, nel settembre 2017, parlando di un uomo con “intelligenza e fermezza e allo stesso tempo con tanta delicatezza e profonda vicinanza umana ad ogni persona, con ironia sempre colta e misurata”, oltre che “affettuoso, sensibile, sincero”, e che “non voleva essere affatto confuso con interpretazioni e posizionamenti preconcetti che, al contrario, indeboliscono l’unità”.
Appena arrivato a Bologna, promise una chiesa “materna e collaborativa”, citando Lucio Dalla e invitando i fedeli a “riscoprire bella la città”, oppure, tempo dopo, visitando il lager di Auschwitz in compagnia del cantautore Francesco Guccini (viaggio raccontato in un film documentario di Francesco Conversano e Nene Grignaffini). E l’accoglienza dei bolognesi è stata sicuramente delle migliori. Numerose copertine e articoli di giornali lo ritraggono infatti tutt’ora come vescovo “molto amato“, e dalle pagine dei social network emergono affreschi divertenti e affettuosi (una su tutti, “Zuppi che fa cose“, in cui le fotografie del prelato si vedono accostate a commenti ironici e mai irriverenti).
Da parte sua sono stati numerosi i progetti in ambito sociale avviati nella diocesi, come ad esempio nell’ambito della fortunata gestione della Faac, l’azienda bolognese di cancelli automatici di cui l’arcidiocesi nel 2012 ha ereditato il 66 per cento, assieme alle proprietà immobiliari e 140 milioni di liquidità in banca, per volere dell’unico figlio unico del compianto fondatore Giuseppe Manini. All’epoca il cardinale Caffarra decise di investire sull’azienda nominando un board di tre professionisti che fecero crescere l’azienda fino a mille dipendenti e quasi trecento milioni di euro di fatturato. Zuppi proseguì nell’opera del suo predecessore preoccupandosi di assicurare polizza assicurativa a tutti i dipendenti e campi estivi gratuiti per i figli, oltre all’obbligo di reinvestire gli utili in azienda per ricerca e sviluppo e di destinarne una parte annuale alle opere sociali. Nel 2017 la Faac chiuse l’anno con 427 milioni di euro di fatturato, 2500 dipendenti, 43 milioni di utili e 43 brevetti innovativi. Numeri che hanno permesso alla Diocesi di investire, soltanto nel 2018, un milione di euro nell’educazione a livello comunale, ripartiti tra doposcuola, aiuti agli studenti disabili e a quelli in difficoltà nel pagare il trasporto o il materiale scolastico.
Tra i dieci prelati nominati da Papa Francesco, di cui Zuppi è l’unico italiano, figurano poi i nomi del gesuita sottosegretario al Dicastero dello Sviluppo umano, dove si occupa di migranti, padre Michael Czerny, canadese ma di origine ceca, quello dell’attuale presidente spagnolo del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, Miguel Ángel Ayuso Guixot, e il suo predecessore inglese, rimosso da Benedetto XVI e “retrocesso” a nunzio apostolico in Egitto, l’arcivescovo Michael Louis Fitzgerald. Tra gli illustri assenti, invece, l’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, quello di Palermo Corrado Lorefice e quello di Venezia Francesco Moraglia. A dimostrazione che la nomina di monsignor Zuppi è risultato di una decisione fortemente voluta dal pontefice, nonostante il fatto che Bologna sia di per sé una sede tradizionalmente “cardinalizia”, un’usanza fatta di automatismi peraltro ormai quasi decaduta con il pontificato di Bergoglio.
“Il cardinale è rosso perché deve testimoniare fino al sangue. Speriamo di essere buoni testimoni del Vangelo: quello di oggi è chiarissimo. Dobbiamo cercare di essere sempre ultimi nell’amore e mettersi sempre al servizio degli altri”, è il commento pronunciato dal vescovo Zuppi, attualmente in pellegrinaggio a Lourdes con l’Unitalsi, venuto a conoscenza dell’annuncio della sua nomina. “Bisogna ringraziare il Papa per la stima, per la fiducia e poi credo che sia un riconoscimento per tutta la Chiesa di Bologna. E credo che sia una responsabilità”.
“Una notizia che Bologna accoglie con grande gioia, certi, come cittadini, che il Pontefice abbia riconosciuto in Matteo Zuppi le grandi qualità umane e spirituali che noi, da tre anni, incontriamo quotidianamente in lui, nelle sue parole, nei suoi gesti umani, semplici e sinceri”, è stato invece il commento del sindaco di Bologna Virginio Merola.