Nessun accordo sull’adesione all’Ue di Albania e Macedonia del nord. Lo stop francese frutta una fumata nera tra i capi di Stato e di governo degli Stati membri al vertice sull’apertura dei negoziati di adesione. Secondo il presidente lituano Gitanas Nausenta, c’è delusione a causa di disaccordi, con Emmanuel Macron che ha insistito sul fatto che i colloqui sui due Paesi non dovrebbero ancora iniziare.
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Parola d’ordine, frustrazione. La mostra con evidenza Nausenta quando spiega che tre Paesi hanno rifiutato di invitare Albania e Macedonia del nord ad avviare i negoziati: “Tutti hanno riconosciuto che la Macedonia settentrionale ha fatto molto: ha cambiato il suo nome, lo ha ribattezzato e ha fatto di tutto per ricevere l’invito. Ritengo pertanto che l’assenza di una decisione possa avere gravi conseguenze politiche per se stessa”. Stesso allarme da parte del primo ministro finlandese Anti Rine: “Spero che sia possibile raggiungere un accordo”, ha detto, senza chiarire se le discussioni continueranno nel prossimo Consiglio dell’Ue.
Ma se da un lato questa frenata può essere figlia della volontà, anche francese, di valutare attentamente le prerogative dei due Paesi, come le penetrazioni della criminalità organizzata, le falle del sistema giudiziario, i rischi sociali di economie instabili, dall’altro va considerato anche il nervosismo di Parigi per la bocciatura a commissario Ue dell’ex ministra liberale francese Sylvie Goulard. Il no è giunto lo scorso 10 ottobre a larga maggioranza dalle commissioni competenti dell’Europarlamento, per le indagini antifrode in cui è coinvolta.
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Ci sono però degli elementi, tattici e di equilibri, che vanno approfonditi. In primis vanno lette con attenzione le parole della cancelliera tedesca Angela Merkel: prima ha sostenuto con forza le prospettive di adesione dei due Paesi, ma poi dopo un incontro con Macron ha chiarito di sostenere anche la posizione francese sulla necessità di riformare i processi di allargamento.
Parigi si è intestata la battaglia che prevede non solo il no ai negoziati di adesione ma anche alla separazione dei due candidati. Nessun testo è stato adottato su questo tema, riportano fonti diplomatiche, anche perché non esiste un accordo per avviare i negoziati di adesione.
Un no tranchant, dunque, alla luce della contemporanea richiesta francese di riformare il processo di adesione per i nuovi Stati membri, che è definito da Parigi “inefficace” e “frustrante”. Roma si è detta aperturista invece, come dimostrato dalla recente visita del premier Conte a Tirana dove ha ribadito che l’Italia sostiene l’apertura dei negoziati con l’Albania (“non solo per i legami storici ma anche per un interesse strategico odierno, per avere un Paese stabile di fronte che può essere anche una fonte di investimenti”).
SCENARI
In prospettiva va valutata anche la governance 2020, quando al timone del Consiglio europeo Donald Tusk cederà la poltrona al belga Charles Michel, conservatore e probabilmente meno aperturista rispetto al predecessore su questi argomenti.
I negoziati di adesione di ogni Paese candidato richiedono l’approvazione unanime degli Stati membri dell’Ue. Per cui il freno di Francia, Paesi Bassi e Danimarca, blocca l’azione intrapresa dal commissario europeo per l’allargamento Johannes Hahn che non a caso ha commentato: “Così Bruxelles sembra infrangere le sue promesse”. Deluso il premier macedone Zoran Zaev, (in foto), che ha chiesto l’avvio immediato delle trattative.
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