Non sarà un cessate il fuoco, ma una pausa, come s’è affrettato a dire il ministro degli Esteri turco. Però dalla visita odierna della delegazione americana ad Ankara esce una notizia netta: la Turchia sospenderà la sua operazioni in Siria.
Il vicepresidente Mike Pence riporta a casa il risultato: Recep Tayyp Erdogan, che ieri diceva alle sue fanfare propagandistiche di non voler ricevere gli statunitensi, oggi non solo ha accettato la visita — visibilmente scontento nelle foto, ma non avrebbe potuto fare altrimenti — ha anche accettato di fermare la sua operazione, il suo piano al nord siriano.
La pressione americana s’è abbinata a quella di Mosca, che si è piazzata in posizione di interdizione — con interessi diretti: creare uno spostamento di influenze e nuovi equilibri di potere a proprio favore sfruttando l’arretramento Usa.
C’è stato un ripensamento americano, il presidente Donald Trump aveva lasciato spazio discreto a Erdogan con una decisione avventata — presa senza consultare nessuno — dopo una telefonata del 6 ottobre. Già tre giorni dopo aveva inviato un altro messaggio ufficiale invitando Erdogan a non fare sciocchezze, “la storia ti giudicherà bene se tu ti comporterai nel modo giusto è umano” diceva l’americano. Poi chiudeva con un “ti chiamo più tardi”, prima: “Non fare il duro, non fare lo stupido”.
Il tentativo di mettere una pezza l’aveva seguito anche il Pentagono, spiegando che non ci sarebbe stato il ritiro annunciato, ma solo una cinquantina di uomini: era l’11 ottobre. Tre giorni dopo i soldati a partire sarebbero diventati mille, per ragioni di sicurezza e perché così voleva Trump. Non c’è stata una vera organizzazione per il ripiegamento, tanto che ieri due F-15 americani hanno raso al suolo il quartier generale usato dalle forze speciali anti-Is americane (l’ex cementeria francese Lafarge) per evitare che le informazioni e le armi lasciate all’interno finissero in mano ai turchi. Oppure ai russi, che stavano entrando — per l’accordo curdi-regime arrivato nel frattempo — in quelle stesse aree.
Intanto il presidente americano ha preso una posizione intermedia con Erdogan, dura a tratti, conciliante in altri. Minaccia ritorsioni chd potrebbero “distruggere” l’economia della Turchia, ma si sgancia dai curdi — dal “non ci hanno aiutato in Normandia” dell’11 ottobre al “non sono angeli” di ieri.
Oggi il colpo finale. L’America ferma Erdogan — ha chiaramente la forza per farlo. Lo sviluppo odierno ha ovviamente seguito i colloqui Usa/Turchia di Ankara. Tutte le operazioni militari saranno sospese per cinque giorni e gli Stati Uniti contribuiranno a facilitare un “ritiro ordinato” delle truppe a guida curda da quella che la Turchia ha definito una “zona sicura” al confine.
La pausa però non convince i curdi, e non è chiaro se accetteranno la tregua o continueranno a combattere, anche perché in questo momento sentono la possibilità di riconquistare terreno. I russi hanno rallentato il ritmo dell’offensiva e i carri turchi sono diventati un obiettivo più facile per i missili anti-tank dei curdi (armi americane precise). Colpi di obice e scontri in corso sono le informazioni che arrivano al momento della stesura di questo articolo da uno dei punti cruciali dei combattimenti, Serekaniye.
(Foto: Twitter, @ragipsaylou)