La faccia spaesata di Mark Zuckeberg messo sotto torchio da Alexandria Ocasio-Cortez nella commissione congressuale è diventata virale. Milioni di persone in tutto il mondo hanno visto la sua reticenza nel rispondere a una domanda semplicissima: rimuoverà o meno le falsità da Facebook? (So, you won’t take down lies or you will take down lies? I think that’s just a pretty simple yes or no).
AOC chiedeva conto di contenuti politici palesemente falsi sponsorizzati da un partito o da un’organizzazione politica. La premessa riguarda una questione molto sentita in USA, dove questo mese Facebook si è rifiutato di rimuovere una campagna sponsorizzata di Trump che includeva una ritratto fuorviante dell’impegno in Ucraina dell’ex vicepresidente Joe Biden.
AOC è solo l’ultima delle politiche democrat che da tempo hanno preso di mira le corporation digitali sul tema del loro strapotere nella gestione dei big data delle persone e dell’utilizzo anche a fine di manipolazione che di questi dati possono fare imprese, società e politici. Elizabeth Warren, che attualmente guida i sondaggi con 7 punti di vantaggio nelle primarie americane, la settimana scorsa ha scritto in un tweet: “Facebook ha cambiato la propria politica pubblicitaria per consentire ai politici di pubblicare annunci con bugie note, trasformando esplicitamente la piattaforma in una macchina di disinformazione a scopo di lucro. Questa settimana, abbiamo deciso di vedere fino a che punto arriva”.
Warren ha sottoposto a Facebook un contenuto intenzionalmente falso da sponsorizzare. Nel post la candidata democratica ha scritto provocatoriamente che Facebook e Mark Zuckerberg appoggiano Donald Trump per le prossime presidenziali. L’annuncio è stato approvato e pubblicizzato sulla piattaforma. Warren ha voluto dimostrare così la facilità con cui è possibile non solo scrivere ma addirittura sponsorizzare un contenuto palesemente falso.
Ma da tempo la Warren ha deciso di intraprendere una battaglia contro Facebook, Amazon e Google. In un post su medium dell’8 marzo dal titolo programmatico ‘It’s time to break up Amazon, Google and Facebook’, la senatrice del Massachussets scriveva della necessità di portare di nuovo competizione in un sistema dove i monopoli digitali stanno uccidendo business e innovazione: “quando queste compagnie sono cresciute e sono diventate più potenti, hanno utilizzato le loro risorse e il loro controllo sul modo in cui noi usiamo internet per distruggere small businesses&innovation, e per sostituire i loro interessi finanziari al posto degli interessi più larghi del popolo americano. Per ripristinare l’equilibrio di poteri nella nostra democrazia, per promuovere la competizione, e assicurare che la prossima generazione di innovazione tecnologica sia vicace come è stata l’ultima, è tempo di spezzare il potere delle Big Tech”.
La battaglia che Warren e AOC stanno portando avanti contro i giganti digitali finalmente si sta spostando dal tema “editoriale” e un po’ ipocrita (quello delle fake news e della propaganda) a uno più squisitamente politico.
Ci sono domande che necessitano risposte: quanto a lungo come cittadini e come consumatori possiamo accettare questo monopolio? Quanto è accettabile che questo ecosistema sia sempre di più nelle mani di pochissime persone fuori dal controllo delle strutture di garanzia e democratiche? Quanto a lungo possiamo permettere che i nostri dati siano in completo utilizzo delle multinazionali che de facto hanno privatizzato le nostre informazioni? Anche le risposte dipenderanno drammaticamente da quello che accadrà nelle elezioni presidenziali del 2020.