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Vi spiego le mosse di Arabia Saudita, Iran e Turchia in Siria e Iraq. Parla Manciulli

L’Occidente, e in particolare l’Europa, non possono sottrarsi a un’iniziativa per favorire la pacificazione del Medio Oriente e la stabilizzazione di Siria e Iraq. A sostenerlo è Andrea Manciulli, presidente di Europa Atlantica e senior fellow dell’Ispi, esperto e studioso di terrorismo, che in una conversazione con Formiche.net analizza la crisi regionale dopo le ultime offensive, gli interessi e gli attori in gioco e avverte: “Disinteressarsi di ciò che accade o tirarsi indietro potrebbe portare a una nuova fase di terrorismo globale 3.0”.

Manciulli, che cosa sta succedendo in Medio Oriente?

La situazione che, per più motivi, si sta determinando in Medio Oriente rischia di condizionare pesantemente e, purtroppo, negativamente il futuro delle relazioni internazionali nei prossimi anni. Ci vuole uno sforzo straordinario di equilibrio e di saggezza per fronteggiare un contesto che torna a essere estremamente denso di insidie in quel quadrante.

Il cuore della crisi regionale continua a essere la Siria. Perché?

Si sapeva da tempo che la vicenda del futuro della Siria dopo la fine della guerra siriana sarebbe stato un tema estremamente spinoso di per sé. Negli ultimi anni, sulla ricerca di una egemonia in quell’area, si sono prima di tutto confrontati schieramenti locali. Poi, la postura internazionale sempre più aggressiva di Iran, Arabia Saudita e Turchia svolge da tempo su quell’area un’azione costante. Questi attori cercano, in vario modo, di pesare nella riorganizzazione futura della zona. E ciò avviene con il concorso, a fasi più o meno alterne e intense, delle grandi potenze mondiali come Usa e Russia.

In che modo Iran, Arabia Saudita e Turchia starebbero alimentando la crisi?

Partiamo da Teheran e Riad. In questi anni si è dipanata con un esito marcatamente sciita la vicenda irachena, con l’Iran che ha conquistato e difeso positivamente posizioni di influenza sia nel Kurdistan iracheno sia in Iraq in senso più lato, non cessando mai di svolgere una funzione limitativa sulla parte sunnita della popolazione. Questo esito è apparso ancora più evidente nelle ultime settimane con l’attacco missilistico da un territorio iracheno o limitrofo da parte iraniana verso l’Arabia Saudita. Questa situazione iraniana ha aperto grosse preoccupazioni perché non è un fatto isolato. Dopo la crisi dei rapporti per il ritiro Usa dall’accordo sul nucleare, l’Iran ha assunto una posizione più aggressiva anche su altri fronti. Sono sempre piu documentati i passaggi di foreign fighter dello Stato Islamico dalla Siria verso l’Afghanistan. E in tutta l’area siriana le milizie siro-iraniane hanno mostrato un certo attivismo. Allo stesso tempo, non è affatto diminuita la tensione con l’Arabia Saudita, come dimostra l’attacco missilistico. Riad, dal canto suo, non ha mai fatto mancare la pressione verso il mondo sciita. La sua campagna di riarmo e la sua politica estera aggressiva nei confronti del mondo sunnita della Fratellanza Musulmana e di quella sciita, in un rinnovato rapporto come Israele, ha contribuito senz’altro a far crescere la tensione come dimostra la vicenda dello Yemen.

In questi giorni, tuttavia, si dibatte molto di Turchia e dell’attacco voluto da Erdogan ai danni dei curdi siriani. Come valuta questa offensiva?

La Turchia, che ha un progetto di influenza sull’area e che non ha mai disconosciuto i suoi legami col mondo riconducibile ai Fratelli Musulmani, non può restare fuori da questo gioco se vuole avere una forte influenza sull’area, che per lei ha risvolti sia economici sia strategici, basti pensare alla vicenda del petrolio in quella parte del Mediterraneo.
In questa partita di scacchi, è evidente che nessuno degli attori vuol perdere influenza e peso strategico. E, prima che vincere, deve preoccuparsi di non perdere terreno e di difendere le proprie posizioni. È in questo quadro che la vicenda del futuro della Siria diventa determinante. Chi la controllerà potrebbe fare il passo in più che lo porrà in una situazione di vantaggio. In questo senso va letta l’iniziativa della Turchia, che senza dubbio va condannata ed è in qualche maniera molto pericolosa e dannosa per l’Europa, ma che non può essere ridotta alla semplice vicenda curda.

Che cosa ne pensa dell’ipotesi, sollevata in questi giorni, di “scaricare” i curdi?

I curdi hanno la nostra riconoscenza, si sono battuti contro Daesh in maniera coraggiosa e forte, e non possono essere scaricati così. Sarebbe stato molto difficile senza di loro. Se vogliamo portare un contributo europeo in quell’area dobbiamo valutare questa partita di equilibri con saggezza, capendone tutte le implicazioni e giocando un ruolo mitigatore in prima persona.

Che cosa dovrebbe fare l’Europa?

Serve innanzitutto una iniziativa europea e italiana. E serve chiarire qual è il ruolo culturale dell’Occidente per favorire la pacificazione del Medio Oriente. Non possiamo dimenticare che vicenda dello Stato Islamico è iniziata con l’abbattimento dei confini stabiliti dall’accordo Sykes-Picot, ovvero dei confini che l’Occidente avave dato a quella regione a tavolino. Per questo dico che disinteressarsi di ciò che accade o tirarsi indietro è non solo sbagliato, ma non ci porterà alla risoluzione della crisi siriana e mediorientale. Né si può fare esclusivo affidamento sugli schieramenti locali sostenuti dalle varie potenze internazionali.

Perché un impegno occidentale in questa vicenda è così importante?

Questa situazione burrascosa può riaccendere il terrorismo – un tema al quale Europa Atlantica dedicherà un convegno in programma il 29 ottobre a Palazzo San Macuto – e favorire nuove ondate di migranti verso l’Europa. Per questo il Vecchio Continente deve avere la capacità di assumere una posizione chiara e attiva sul dossier, anche rispetto al ruolo che può avere in un mare, il Mediterraneo, che è anche suo. Parte di questo sforzo deve concentrarsi sul far capire ai propri alleati, a cominciare dagli Stati Uniti, che ritirarsi oggi da quell’area avendo vinto una parte della guerra al jihadismo, senza però aver contribuito a stabilizzare quella parte di mondo, significherebbe aver combattutto invano. In questo momento sono molto preocupanti i movimenti di foreign fighter nella regione. Esistono sacche importantissime di resistenza e nascondiglio di jihadisti, e da queste tensioni potrebbe portare una nuova fase di jihadismo globale 3.0.



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