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Brexit. Cambia il premier, ma non il risultato

La House of Commons ha nei fatti bocciato, impedendone il voto in aula, l’accordo per regolare l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea siglato dal successore di Theresa May.

Facciamo un breve passo indietro. Dopo un lungo braccio di ferro con Bruxelles, durante il quale il neo premier Boris Johnson ha più volte dichiarato di essere pronto a dare corso ad una Hard Brexit il 31 ottobre, alla fine il tanto agognato accordo con l’Ue è stato trovato, ma in attesa di essere ratificato a Westminster. E il governo avrebbe dovuto conseguire la ratifica entro le 23, ora di Londra, del 19 ottobre, poiché ai sensi del Benn Act approvato lo scorso settembre, se entro il 19 ottobre non fosse stato approvato un accordo con l’Ue il governo avrebbe dovuto richiedere a Bruxelles uno slittamento del termine previsto per Brexit fino al 31 gennaio del 2020.

L’accordo siglato nelle scorse ore tra i negoziatori britannici e quelli europei ricalcava sostanzialmente quello già raggiunto da Theresa May, ma con una nuova soluzione sul delicato tema del confine irlandese. Secondo questo accordo l’Irlanda del Nord avrebbe lasciato l’Unione Doganale come il resto del Regno Unito ma sarebbe rimasta in una zona tariffaria unica con il resto dell’Ue per quattro anni, in attesa di trovare una soluzione definitiva. Il confine doganale commerciale sarebbe stato spostato, idealmente, nel Mar d’Irlanda, tra l’Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito.

Il premier Boris Johnson, pur dovendo scontare la contrarietà del partito unionista nordirlandese, era riuscito a incassare il sostegno dell’European Research Group, l’ala euroscettica dei Conservatives, e pertanto riteneva di avere la maggioranza a Westminster. Ma non è stato così.

Sabato 19 la House of Commons è stata convocata per votare sull’accordo, ma i regolamenti parlamentari prevedono che prima di votare mozioni di particolare importanza i deputati possono presentare degli emendamenti. Un emendamento è stato presentato dal ribelle Conservative Oliver Latwin, sostenuto anche dall’ex Cancelliere Hammond. Questo emendamento proponeva che il voto sull’accordo con l’Ue venisse rinviato ad una data successiva al completamento dell’iter parlamentare per l’approvazione dei regolamenti tecnici che dovranno regolare l’uscita del Regno Unito. L’emendamento è stato approvato con 322 voti a favore contro 306.

Il voto della House of Commons ha così rimesso tutto in discussione, con il premier che prima ha rifiutato di dare corso al Benn Act, ritenendo che questo non regolasse il caso determinatosi con l’approvazione dell’emendamento Latwin, poi ha ceduto inviando a Bruxelles la lettera con la richiesta di proroga del termine fino al 31 gennaio 2020, ma senza firmarla e chiarendo che il testo specifica che Brexit potrà avere luogo prima del nuovo termine nel caso l’accordo venga approvato.

Cosa accadrà nelle prossime ore è difficile da prevedere. Innanzitutto bisognerà attendere una formale accettazione da parte di Bruxelles della richiesta di proroga del termine.

Sul lato londinese della Manica è possibile che il governo riproponga rapidamente il voto sull’accordo in contemporanea alla calendarizzazione dell’iter di approvazione dei regolamenti tecnici su Brexit, in modo da sterilizzare l’emendamento Latwin. Ma non è detto che l’accordo verrà approvato. Per l’ennesima volta in questo lungo anno si è assistito a Westminster ad un rimescolamento di maggioranze e di rapporti di forza.

Se il Regno Unito si riconferma una grande democrazia, in grado di parlamentarizzare, con un dibattito e con dei voti alla luce del sole, tutti i passaggi più delicati della propria storia, al contempo resta forte lo scontro tra visioni diverse. Da una parte quella secondo cui il Regno Unito potrà crescere maggiormente al di fuori dell’Unione Doganale con l’Ue, tornando a rivestire un ruolo autonomo sullo scacchiere geoeconomico e geopolitico mondiale, ed è questa la posizione di Boris Johnson e dei sostenitori di una Brexit più o meno Hard, dall’altra parte la posizione di quanti ritengono che dopo anni di appartenenza all’Unione, lasciare l’Ue metterebbe in ginocchio l’economia e renderebbe marginale il ruolo del Regno Unito nel contesto globale.

Al referendum del 2016 il popolo britannico si è spaccato a metà, con una lieve maggioranza a favore del Leave. Questa spaccatura è ancora presente nel Paese, anche se stando ai sondaggi oggi forse con una leggera maggioranza a favore del Remain.

Ma se il braccio di ferro tra governo e House of Commons non consentirà di trovare a breve una soluzione, non è detto che questa soluzione non possa essere cercata in un nuovo ricorso alle urne, che si tratti di un altro referendum o di elezioni generali.

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