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Carola e l’ipocrisia europea nel ricordo dei migranti morti. L’analisi di Vespa

Nel giorno in cui l’Italia celebra la Giornata della memoria e dell’accoglienza in onore dei 368 migranti morti al largo di Lampedusa il 3 ottobre 2013, a Bruxelles si sono tenute le audizioni della Commissione affari interni sulle operazioni di salvataggio nel Mediterraneo e due persone molto diverse tra loro hanno spiegato in poche parole la situazione politica e le contraddizioni che rendono complicato il tema dei flussi migratori: Carola Rackete e il capitano di vascello Andrea Tassara della Guardia costiera italiana.

Carola Rackete era la comandante della Sea Watch che forzò il divieto di ingresso nelle acque italiane, urtò una motovedetta della Guardia di Finanza sul molo di Lampedusa ed è sotto inchiesta: “Dove eravate quando abbiamo chiesto aiuto?” ha chiesto provocatoriamente agli europarlamentari mettendo sul piatto il tema della totale indifferenza europea sul problema di cui l’Italia si fa carico da anni. Questo non l’assolve dalla violazione delle leggi italiane, piacciano o meno, e dal mettere a rischio l’incolumità di militari, né vale giustificarsi che fu un’esigenza e non una provocazione. Certo è che la domanda dove fosse, e dove sia, l’Europa è la stessa che si pone l’Italia da molto tempo e perfino il comandante Carola ha sottolineato l’isolamento dell’Italia e degli altri Stati del Sud. La standing ovation che le hanno riservato alla fine è stata un po’ ipocrita e Matteo Salvini ha commentato parlando di “pena, imbarazzo e vergogna”.

Il capitano di vascello Tassara, invece, ha spiegato quello che pochi sanno e che incide moltissimo sulle operazioni in mare: la Tunisia non ha un’area di ricerca e soccorso (Sar) pur avendo ratificato la convenzione di Amburgo; l’Egitto ha un’area Sar, ma non ha ratificato quella convenzione; la Libia ha ratificato la convenzione e ha una propria area Sar. Grande è la confusione sotto il cielo. Tassara, responsabile della centrale operativa del Centro di coordinamento marittimo italiano (Irmcc, la sala operativa della Guardia costiera), ha ricordato che l’Italia dal 1991 ha salvato circa un milione di persone in tutto il Mediterraneo e che dal 2013 si è dovuta far carico di un terzo di questo mare. Ha elencato tre punti: è un’emergenza da affrontare solo con un approccio internazionale condiviso, l’Italia deve comunque attenersi alla normativa nazionale e internazionale ed è una “malattia che non nasce in mare, ma si sviluppa sulla terra ferma” e quindi “bisogna assolutamente agire lì”.

Secondo la Marina del Governo di accordo nazionale di Tripoli, dall’inizio dell’anno i migranti individuati dai libici nel Mediterraneo sono calati del 43 per cento rispetto all’anno scorso: quelli scoperti sono stati 7.036 in nove mesi, i salvati 6.835, sono stati recuperati 11 cadaveri rispetto agli 88 dell’anno scorso e i dispersi sono 190 rispetto ai 325 del 2018. I numeri confermano il netto calo delle partenze, dimostrato dalle statistiche dell’Unhcr sulle varie rotte. Resta il tema dei porti sicuri: il direttore dell’Agenzia Frontex, Fabrice Leggeri, nell’audizione a Bruxelles ha ribadito la posizione della Commissione europea per cui la Libia non è porto sicuro, precisando che non spetta a lui decidere se lo sia o meno e comunque di non averlo mai detto.

In attesa di capire se il Consiglio europeo, passando dalla bozza di accordo di Malta ai fatti, definirà meglio certi confini giuridici, bisogna mettere a confronto dati di fatto e realismo politico: se un porto è sicuro perché un naufrago certamente avrà assistenza e non correrà rischi, non sono sicuri né Libia, né Tunisia (alle prese con una gravissima crisi economica) e forse neanche l’Egitto dove i dissidenti non se la passano bene. Nello stesso tempo, va ricordata la lettera che il 18 marzo scorso il direttore generale Affari interni e migrazione della Commissione europea, la greca Paraskevi Michou, scrisse a Leggeri che aveva chiesto lumi: la dichiarazione unilaterale di area Sar da parte libica comporta la responsabilità e quindi il diritto-dovere a intervenire in quelle acque, tanto che nella lettera erano ricordati i numeri dei salvataggi da parte della Guardia costiera libica; il diritto internazionale prevede comunque che debba intervenire il centro di coordinamento di soccorso più vicino mentre interviene quasi sempre l’Italia anche se non confinante con la Sar libica e, quindi, sarebbe “appropriato” includere anche Tunisia ed Egitto. Insomma, una posizione realista e di rottura benché burocratica visto che ufficialmente la Libia resta un porto non sicuro.

Resta aperto, infine, il tema delle missioni navali con polemiche annesse. Rinviata nei giorni scorsi al 31 marzo Eunavfor Med-Sophia, ancora senza navi, l’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha approvato un rapporto con il quale chiede all’Ue di varare una nuova missione di salvataggio che, nelle intenzioni, dovrebbe somigliare a Mare Nostrum. Su questo i parlamentari italiani si sono spaccati: favorevole il Pd, astenuto il Movimento 5 stelle, contrari Lega e Forza Italia.



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