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La Difesa va all’attacco. Il programma di Guerini secondo Marrone (Iai)

Un programma corretto, che rimette al centro le funzioni della Difesa e riconosce l’esigenza di una modernizzazione a tutto tondo dello strumento militare anche alla luce dell’assertività di Russia e Cina. È il giudizio di Alessandro Marrone, responsabile del programma Difesa dell’Istituto affari internazionali, sulle linee programmatiche che il ministro Lorenzo Guerini ha presentato ieri alle Commissioni di Camera e Senato. Tra i vari aspetti, il titolare di palazzo Baracchini ha sottolineato l’esigenza di invertire il trend sul budget della Difesa, presentando l’intenzione di aumentare gli investimenti per il settore. Tanti inoltre i riferimenti al “complesso” contesto internazionale e alle priorità su cui lavorare, a partire dal Mediterraneo allargato, dal Sahel alle acque di Cipro, passando per i Balcani occidentali. Le prime sfide, ha però notato Guerini, sono quelle che arrivano da Russia e Cina.

Come giudica le linee programmatiche del ministro Guerini?

Complessivamente il giudizio è positivo, poiché emerge la consapevolezza della situazione italiana e internazionale. Mi riferisco in particolare al fatto che, data l’assertività di Russia e Cina, le missioni delle Forze armate siano riconosciute in tutto il loro potenziale e non più solo per alcune funzioni. Questo in ambito Nato è chiaro da tempo, dal 2014 per la Russia, più recentemente per la Cina. È importante che anche l’Italia ne prenda atto, perché da ciò discende l’esigenza di modernizzazione delle capacità, delle tecnologie e degli equipaggiamenti per l’intero spettro dei compiti dello strumento militare. Non più solo contrasto all’insorgenza, al terrorismo, capacity building e stabilizzazione, ma molto di più. Qui c’è il riconoscimento importante delle linee programmatiche alla specificità dello strumento militare, e dunque il richiamo ai compiti assegnati dalla legge alle Forze armate.

Ci spieghi meglio.

Si specifica che alle Forza armate spettano la Difesa dello Stato, la condivisione della sicurezza e difesa collettiva euro-atlantica e il contributo alla pace e alla sicurezza internazionali, non il sostituirsi ad altri organi dello Stato, come abbiamo visto per l’emergenza rifiuti e come avvenuto in modo distorsivo nel precedente governo.

Guerini ha fatto anche riferimento alla rimodulazione della missione Strade Sicure.

La missione va certamente riconsiderata proprio alla luce del riconoscimento dei compiti delle Forze armate. Operativa dal 2008 coinvolge settemila uomini, più di quelli impegnati all’estero. Sono passati undici anni dal suo avvio, un periodo in cui il contesto internazionale è mutato profondamente. Nel frattempo ci sono state le Primavere arabe, la crisi libica, l’annessione russa della Crimea e si è preso atto del confronto in corso con Russia e Cina. Alla luce di tutto questo, non appare più necessario impiegare settemila militari a supporto di un organico delle Forze di Polizia (che Guerini ha ricordato essere in crescita) già molto addestrato ed efficace. Un impegno così gravoso non è fondamentale né efficiente. Le risorse vanno dunque reindirizzate sui compiti propri dello strumento militare. Va dunque nella giusta direzione una valutazione su come proseguire Strade sicure, in modo che dia valore aggiunto e non supplisca altre strutture dello Stato.

Tra l’altro, nel documento presentato dal ministro scompare il focus su dual use che era centrale in quello precedente.

Se si comparano le linee di Guerini con quelle del ministro Trenta, c’è differenza proprio su questo tema. Il dual use non scompare. Se ne parla quando si tratta l’industria della difesa, aerospazio e sicurezza, sottolineando che le tecnologie sviluppate dal comparto hanno importanti risvolti in campo civile, come volàno di innovazione tecnologica, industriale, di competitività e competenza. Non c’è il termine esplicito, ma c’è il riconoscimento del carattere duale dell’innovazione della difesa. Appare invece nella parte dedicata al patrimonio immobiliare delle Forze armate, in un’ottica di razionalizzazione ed efficientamento di quel che non è più indispensabile dopo settant’anni di storia della Repubblica. D’altra parte, molte strutture erano rispondevano alla logica della Guerra fredda, spesso in centri cittadini, e oggi non appaiono più così efficienti. Il dual use dunque c’è, ma non come elemento ideologicamente permeante, quanto come riferimento assolutamente sensato su tecnologie e infrastrutture.

Tanti invece i riferimenti alla necessità di un budget più corposo ed efficiente per la Difesa. Ma Guerini ha davvero margine per aumentare gli investimenti?

Intanto, il discorso sensato delle linee programmatiche è sulla stabilità degli investimenti, per cui si fa riferimento anche ad altri fondi pubblici quindicennali. Ricordo inoltre che la Francia ha una legge quinquennale e che il Fondo europeo della Difesa lavorerà su un orizzonte di sette anni. Anche l’Italia deve dotarsi di uno strumento legislativo adeguato (il Libro bianco del 2015 proponeva una legge sessennale) per dare certezza ai piani ai propositi programmatici contenuti nel Dpp. Quest’ultimo già dota la Difesa italiana di una programmazione pluriennale, anche migliore rispetto ad altri Paesi. Manca tuttavia la certezza dei finanziamenti.

Perché è così importante?

Per dare certezze alle Forze armate e consentire all’industria di pianificare al meglio la propria attività. Si tratta di avere più risultato con lo stesso quantitativo di investimento, così da sedersi con carte più forti ai tavoli per accedere al Fondo europeo o ai grandi programmi internazionali. Il ritorno è doppio: di efficienza nazionale e di posizionamento internazionale.

E sull’aumento delle risorse?

Tutti i ministri della Difesa europei sono consapevoli della necessità di aumentare i rispettivi bilanci per interessi, prima di tutto, dei singoli Stati. Lo hanno chiarito in ambito Nato, e poi lo hanno ulteriormente ribadito nel contesto dell’Unione europea. Tutti i Paesi europei vanno verso il 2% del Pil. Alcuni lo raggiungeranno, mentre altri si avvicineranno. L’Italia no, con un bilancio fermo da anni che ci pone in ulteriore svantaggio rispetto agli altri. Spero che la consapevolezza esplicitata nelle linee programmatiche si traduca dunque in maggiori investimenti, anche se un bilancio fermo da cinque anni (con diversi governi e differenti congiunture economiche) non lascia tante speranze.

Meglio lavorare sulla corretta allocazione delle risorse disponibili?

Per questo Guerini ha chiarito che occorre investire di più sull’Esercizio. Vuol dire destinare più risorse a esercitazioni, manutenzione e costi operativi, anche a parità di budget complessivo. Il bilancio della Difesa va sicuramente aumentato, ma già una sua migliore distribuzione può dare risultati.

In un passaggio (che ha guadagnato qualche critica) Guerini ha spiegato di voler cooperare di più con la Francia nel Sahel. Ma non abbiamo interessi divergenti?

Francia e Italia hanno alcuni interessi divergenti e altri convergenti in tutta la regione del Magreb e Sahel, a seconda degli interlocutori regionali e internazionali. È un dato, ma è anche vero che la Francia sia un Paese imprescindibile con cui raffrontarsi. Vuol dire cooperare dove è possibile, e dialogare anche dove non si è d’accordo. Lasciare che le divergenze sopravvivano è più dannoso per tutti, in primis per l’Italia, che in molti casi è meno in grado di tutelare i propri interessi. Il discorso non è dunque bianco o neo. Occorre riconoscere le difficoltà e le divergenze, ma anche convergere se possibile. Significa fare politica, negoziare, trovare compromessi e pensare a soluzioni nuove.

In definitiva, c’è qualcosa su cui occorrerà fare maggiore attenzione?

La Pesco e il Fondo europeo di Difesa (Edf) sono giustamente e positivamente nominati nelle linee programmatiche, ma con poco spazio. Servirà maggiore consapevolezza sul fatto che tali meccanismi cambieranno molto nel procurement e nella base industriale europea, in termini di efficacia, di innovazione e di interdipendenza. Bisogna guardare all’orizzonte del prossimo decennio ma iniziare a farlo adesso, poiché ora partono i fondi del Programma di sviluppo dell’industria (Edidp) e le aziende italiane devono posizionarsi.

In che modo?

Per fare solo un esempio, si prevede che i fondi nazionali destinati alla Difesa europea debbano essere indicati e garantiti nella Legge di bilancio in ottica pluriennale. Per farlo, occorre avere consapevolezza che ciò rappresenta una priorità per l’Italia, al fine di partecipare al cofinanziamento e avere indietro almeno quanto si è contribuito, e cioè 1,3 miliardi di euro in sette anni. Non è assistenzialismo, ma esigenza di assicurare capacità alle Forze armate e sviluppo alle industrie nazionali in un’ottica di collaborazione europea.

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