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Blitz o invasione? Il bivio (pericoloso) di Erdogan nel Kurdistan siriano

cipro

La polveriera curda è pronta a esplodere. Mentre le forze armate turche si muovono verso il confine e l’aeronautica effettua i primi raid sulle zone controllate dai curdi siriani il mondo si chiede quali saranno le conseguenze del via libera di Donald Trump all’intervento di Ankara. “Erdogan sa che un’invasione o, peggio, una pulizia etnica avranno gravi conseguenze” spiega a Formiche.net Costantino Pischedda, professore di Relazioni Internazionali all’Università di Miami e fine conoscitore del mondo curdo siriano e iracheno.

L’offensiva turca è iniziata. Quanto in là si spingerà Erdogan?

Erdogan è di fronte a un bivio. Con un intervento limitato e focalizzato sul confine può evitare un vero e proprio conflitto con le forze curde locali. Se invece dovesse scegliere di andare più in profondità i curdi del Pyp si troverebbero di fronte a una minaccia esistenziale e potrebbero innescare uno scontro aperto.

Siamo di fronte a un’operazione simile a quella andata in scena ad Afrin?

Afrin rappresenta un’enclave isolata rispetto al resto della Siria, la zona potenzialmente interessata dall’intervento turco in corso costituisce invece il cuore del territorio popolato dai curdi siriani.

I curdi corrono il rischio di una pulizia etnica?

Non credo che Erdogan arriverà a tanto. La Turchia ricorda bene cosa è successo nel 1991 quando Saddam ha perseguitato ed espulso i curdi iracheni. Gli Stati Uniti sono intervenuti creando una safe-zone nel Nord dell’Iraq che ancora costituisce lo scheletro dell’attuale Kurdistan. I turchi sono consapevoli che un gesto del genere costringerebbe gli Stati Uniti a rispondere.

Cosa spinge Erdogan ad assumersi il rischio proprio ora?

Una motivazione non secondaria è di pura politica domestica. Erdogan vuole fare della zona sotto attacco la destinazione per i rifugiati siriani stanziati in Turchia. Il piano preoccupa i curdi siriani perché molti di questi rifugiati sono sunniti e il loro arrivo sconvolgerebbe l’equilibrio demografico della regione. C’è solo un effetto collaterale che si può considerare positivo anche se certamente non è intenzionale.

Quale?

Queste zone nel Nord della Siria sono sotto il controllo dei curdi ma ospitano anche molti sunniti che mal sopportano il loro dominio. Migliaia di loro costituiscono oggi potenziali adepti dell’Isis. Nella Turchia, se non un amico, possono trovare un nemico meno diretto.

Assad rimarrà a guardare?

Vedo molta ambiguità da parte di Damasco. I curdi del Pyp fanno parte delle Syrian Democratic Forces (Sdf), una coalizione curdo-araba messa in piedi dagli Stati Uniti per combattere Daesh. Le Sdf non sono mai state in guerra contro Assad, nel corso del conflitto si sono quasi sempre evitati e talvolta hanno indirettamente cooperato.

Quindi un intervento di Assad non è da escludere?

È plausibile solo nel caso di una vera e propria invasione turca e comunque sotto forma di supporto logistico alle forze curde e non di una vera mobilitazione dell’esercito. Ha appena riconquistato il Paese e non ha alcun interesse a trovarsi coinvolto in uno scontro aperto con la Turchia.

La Russia di Putin per ora è ferma ai comunicati. Fermerà Erdogan?

Ne dubito fortemente. A meno che l’avanzata turca non si spinga a negare le riconquiste territoriali di Assad, la Russia non vorrà essere assorbita in un conflitto di queste dimensioni. Tutto sommato Putin ha di che rallegrarsi. Le Sdf, alleate degli Stati Uniti, stanno per essere “punite”.

Che fine ha fatto la Nato?

Il silenzio è deludente. Forse è dettato da realismo. La Turchia ha un interesse regionale più forte di quello che può vantare la maggior parte dei suoi alleati Nato. Suppongo che i vertici dell’Alleanza sperassero che Trump non prendesse una decisione così drastica. La presenza di truppe americane sul territorio, anche se di piccole dimensioni, costituiva un grande deterrente e avrebbe mobilitato il Congresso in caso di un attacco turco.

Come si spiega allora la decisione di Trump? Boutade o mossa strategica?

Da una parte è stato coerente con quanto annunciato in campagna elettorale. Ha sempre sostenuto che gli Stati Uniti non devono rimanere impantanati in conflitti su cui non vantino grandi interessi. L’interesse degli americani in Siria corrispondeva con l’eliminazione dell’Isis. Trump è sicuro che sia stato eliminato e non vede ragione di restare. Un ragionamento sensato in via teorica, che in pratica però deve fare i conti con le plausibili conseguenze di una simile mossa.

Davvero ha agito da solo?

Ha senz’altro avuto un ruolo la sua conversazione personale con Erdogan. Trump ha mostrato di saper prendere decisioni senza consultarsi con chi ha attorno. Se c’è una logica di lungo periodo non è chiaro quale possa essere. Non stupisce che la Turchia sia considerato un alleato più importante per gli Stati Uniti di una minoranza etnica senza Stato, è la modalità a lasciare perplessi.

Ha ragione quando dice che l’Isis è stato eliminato?

Daesh ha perso la sua dimensione statale ma è ancora capace di condurre attacchi sia in Iraq che in Siria, i recenti attentati suicidi a Raqqa ne sono la prova inconfutabile.

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