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Erdogan va in Serbia per espandere l’influenza turca nei Balcani

In Siria la situazione è appesa a un filo, le acque attorno a Cipro sono sempre più agitate, ma il presidente della Repubblica turca, Recep Tayyip Erdogan non sembra proprio voler diminuire l’esuberanza che da anni caratterizza la politica estera della Mezzaluna.

E domani si prepara a un viaggio di due giorni in uno dei territori chiave per Ankara: i Balcani. Da tempo la Turchia ha aumentato la sua influenza nella regione, forte anche del legame storico che la lega a questo territorio, che per secoli è stato una parte importante dell’Impero Ottomano.

La strategia di Erdogan lo ha portato dal principio ad avvicinarsi a quei Paesi dove la componente musulmana della popolazione è più forte o più malleabile. Questo ha permesso alla Mezzaluna di instaurare una vera e propria influenza culturale, con relativi benefici economici, in Bosnia, Kosovo e Albania, dove il presidente turco è stato anche accusato di voler aizzare e islamizzare la componente musulmana a scapito della tenuta interna del Paese.

Dal “disegno neottomano” rimaneva fuori, e con forza la Serbia, storicamente nell’orbita di Mosca e che ha sempre visto con grandissimo sospetto le manovre di Erdogan nei Balcani. Ma il quadro geopolitico è cambiato, la Turchia e la Russia adesso sono alleate, e anche la mappa di influenza nei Balcani va ridisegnata.

Per questo nei prossimi due giorni, il presidente Erdogan sarà a Belgrado. L’occasione, dal punto di vista simbolico è quanto mai importante e la dice lunga sulle ambizioni della Turchia nei Balcani. Erdogan infatti parteciperà all’apertura del cantiere dell’autostrada che collegherà Belgrado e Sarajevo e che sarà costruita dalla turca Tasyapi insieme con società serbe.

Il ministro per le infrastrutture di Belgrado, giustamente, ha detto che non si tratta di un progetto come tutti gli altri. L’autostrada non solo connetterà due città da sempre contrapposte nella storia della regione, cambiando anche tutta la geografia dei trasporti, ma anche due popolazioni che adesso potrebbero iniziare a interagire in modo diverso.

Un successo questo in gran parte turco. Ankara sembra aver voluto replicare, con esiti certo di gran lunga più positivi, la politica di mediazione e conciliazione che ha cercato di applicare, con un risultato disastroso, in Siria.

Mosca, regista occulto di tutta questa operazione, lascia fare, controllando che la Turchia non conquisti troppo terreno in quello che è il suo feudo per eccellenza. Con l’ingresso della Macedonia del Nord nell’orbita Nato e Ue, Putin ha bisogno di elementi di disturbo che facciano il suo gioco, avendo in cambio, un minimo di vantaggi economici e geopolitici.

Ankara, anche per quanto riguarda tutto quello in ballo con il capitolo Siria e tutta la situazione nel Mediterraneo dell’est, rappresenta lo strumento perfetto.


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