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Vi spiego come aiutare la giovane Tunisia. Karima Moual commenta le elezioni

La bassa affluenza alle urne in Tunisia? E’anche il frutto della perdita della dignità, rivela a Formiche.net Karima Moual, giornalista di origine marocchina collaboratrice di Mediaset e La Stampa, che partendo dai primi exit poll, ragiona sulle prospettive di un Paese giovane come la Tunisia anche in ottica di rapporti mediterranei.

Gli exit poll danno in testa il partito islamico Ennhadha. Ma il primo dato che emerge è una certa apatia elettorale?

L’astensionismo è il frutto di una disillusione generale, assieme al secondo posto raggiunto da Qalb Tounes, il partito del magnate in cella Nabil Karoui. Vuol dire che, oltre il vecchio establishment, c’è bisogno di novità tra cittadini ed elettori. C’è un problema legato al fatto di essere un Paese giovane, una sorta di laboratorio democratico sulla nostra sponda sud. Ma la Tunisia fatica a decollare economicamente, quindi diventa facile che i più giovani ne risentano. Lo vediamo anche sulla nostra pelle di occidentali: le crisi economiche mettono in difficoltà tutti i sistemi democratici, con la conseguente avanzata di partiti non del tutto attenti ai fondamentali sui diritti. Per cui ciò che chiedono i tunisini è innanzitutto di poter crescere, grazie ad un lavoro e ad uno stipendio dignitoso.

Un Paese in difficoltà ma anche molto vicino a noi…

Ed è anche un esempio di sforzo democratico per le altre realtà della regione, oltre ad essere un Paese dal quale arrivano molti migranti, e che si sostiene con la presenza di molte imprese italiane in loco. Credo che sia fondamentale non solo seguirlo, ma anche aiutarlo.

La depressione “politica” che serpeggia fra i più giovani, può mescolarsi alle tentazioni di sposare la causa dei foreign fighters?

Purtroppo sì, come abbiamo visto nel recente passato, con l’estremismo islamista che in queste realtà riesce ad inserirsi bene. La disoccupazione gioca un ruolo. Tanto è vero che Jendouba, regione dove sono stata di recente, ho visto come negli anni sia stata abbandonata a se stessa, e sia diventato terreno fertile per i terroristi. Per cui sono molti gli elementi che si intrecciano e che concorrono ad una riflessione complessiva su come si può sostenere il cambiamento lì.

Cosa è cambiato nella politica dopo la vittoria di un anno fa alle comunali di Tunisi di Souad Abderrahim, primo sindaco donna?

Credo sia stato un simbolo importante, ma al di là delle polemiche sorte, ciò che mi pare di capire oggi è che ci sia la voglia di andare oltre i simboli. Dopo la Rivoluzione dei Gelsomini abbiamo visto tanto, ma non basta più. Occorre che la Tunisia si rialzi per potersi sentire orgogliosa del proprio essere, recuperando la dignità oltre che la democrazia, traguardo che si raggiuge solo col lavoro e con un benessere derivante dallo status di cittadino. Io ho visto un Paese demoralizzato, anche perché alle tante aspettative poi non è corrisposto nulla in questi anni.

Chi e come potrà raccogliere l’eredità della primavera araba visto che riguarda anche i Paesi come l’Italia che sia affacciano sul Mediterraneo meridionale?

L’Italia è un Paese fondamentale per i tunisini e la presenza delle imprese italiane in Tunisia non è di piccoli numeri, con più di 800 imprenditori. Ma ciò non deve essere un fattore statico, bensì aumentare e rinnovarsi, perché la Tunisia necessita davvero di un rinnovamento. Penso al tema della formazione, fondamentale anche per altre realtà nordafricane, come il Marocco che è il mio Paese di origine. Si tratta di Paesi giovani, con grandi potenzialità in diversi settori a cui manca la formazione. Lì si dovrebbe investire maggiormente, anche per favorire la realizzazione di molti progetti comuni.

twitter@FDepalo

 

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