Scomparse nel nulla. Lasciate andare dai curdi che non potevano più badare a loro e poi finite chissà dove. Fra la polvere delle campagne del nord della Siria, nel silenzio generale. È questa la sorte di almeno 50 donne di nazionalità russa, spose di terroristi dell’Isis, che nei giorni dell’incursione turca nel nord del Paese sono scappate, finite chissà dove. Una sorte comune a quella di tante altre donne, ma anche uomini, foreign fighters pronti a prendere la via dell’Europa dopo il caos provocato nel Paese dalle due settimane di operazione militare della Mezzaluna.
A inizio mese avevano chiesto aiuto a Mosca perché le aiutasse a tornare in patria. Si tratta soprattutto di donne provenienti dal Daghestan, dalla Cecenia e dal Caucaso del Nord, territori particolarmente sensibili per il Cremlino. Il 17 ottobre, nel pieno dell’operazione “Sorgente di pace” qualcuno le ha viste andare verso il confine con la Turchia. Poi di loro si sono perse le tracce. Le prigioniere di nazionalità russe nelle mani dei curdi erano circa 1800, per far capire quanto il fenomeno possa essere esteso e come molte di loro, ricongiunte con i loro mariti, potrebbero essere in viaggio dentro e fuori i confini della Siria.
Il timore degli attivisti è che possano cadere nelle mani di bande attive sul territorio e diventare oggetto di una tratta disumana, specie se mogli di qualche importante leader jihadista. La Turchia ha fatto sapere che i gruppi filo-turchi che si trovano sul confine e che nelle scorse settimane hanno aiutato Ankara nella guerra contro i curdi stanno pattugliando il territorio proprio per recuperare queste donne e attivare una mediazione con i loro Paesi di origine perché queste possano tornare a casa.
Ma, a parte il dato umano di centinaia di donne e bambini di cui si sono perse le tracce, c’è quello, correlato, della situazione di pericolo oggettiva che Ankara ha creato con la sua incursione. La mezzaluna ha smentito in ogni modo le voci secondo le quali, a causa del suo intervento armato, migliaia di foreign fighters si sono sottratti al controllo delle milizie armate curde per poi scappare e tornare in attività.
Un bel problema per Mosca che, con l’accordo di Sochi di settimana scorsa, ha concesso alla Turchia di rimanere nella fascia di 32 chilometri di profondità conquistata con l’operazione “Sorgente di pace”isis, impegnandosi al pattugliamento congiunto dei primi 10 chilometri nel nord del Paese.
Il rischio, concreto, per il Cremlino, è che si ritrovi a dare la caccia a gruppi che pensava di aver messo in sicurezza e che hanno la destabilizzazione della Russia fra i loro obiettivi. Deve essere anche per questo motivo che Putin non vuole lasciare alla Turchia, in passato accusata di aver collaborato con Isis, il controllo esclusivo della striscia.