Dopo Hong Kong e Il Cairo tocca a Baghdad: il governo iracheno, insediatosi da appena un anno, deve far fronte ad una ondata di proteste e manifestazioni di piazza. Decine i morti segnalati, con mille feriti nella capitale ed in altre città. I manifestanti, per lo più giovani, protestano contro corruzione, disoccupazione e servizi pubblici scadenti e la polizia spara.
IN PIAZZA
Come i leader politici iracheni stanno gestendo la piazza? E perché il governo non è in grado di offrire una risposta politica? Sono alcuni degli interrogativi sorti dopo la più grande manifestazione dalla sconfitta dello Stato islamico. I motivi vanno ricercati nelle condizioni generali di vita dei quasi 40 milioni di cittadini che non vedono miglioramenti. Le infrastrutture distrutte non sono state ricostruite e i posti di lavoro scarseggiano: due elementi che, soprattutto i più giovani, imputano alla classe politica corrotta, nonostante i grandi introiti petroliferi.
La maggior parte dei manifestanti portava la bandiera irachena mentre altri portavano striscioni con il nome di Saddam Hussein. Tutto ha avuto inizio martedì a Baghdad ma ben presto i moti si sono sparsi in tutto il sud sciita dove diverse città hanno imposto il coprifuoco.
RABBIA
Nelle regioni settentrionali curde e nelle province occidentali sunnite sembrano al momento escluse dalle proteste, ma va ricordato che a sud dell’Iraq poco più di un anno fa ci furono grandi manifestazioni a causa di una grave carenza idrica che causò una crisi sanitaria. Da allora, le province del sud hanno accusato il governo centrale di non aver colmato le carenze infrastrutturali. La disoccupazione giovanile è circa il doppio del tasso complessivo, secondo la Banca mondiale.
Le tensioni sono state esacerbate dalla chiusura degli uffici governativi e dalla richiesta di Moqtada al-Sadr di “uno sciopero generale”. Si tratta di una figura che ha trascinato le proteste del 2016 in occasione della presa di assalto della Green Zone della città, sede di ministeri e ambasciate. Anche per questo si attende la reazione del Grand Ayatollah Ali Sistani.
REAZIONI
Un richiamo alla calma e al dialogo arriva dal Palazzo di Vetro dell‘Onu. Secondo il portavoce Stephane Dujarric l’Onu accoglie con favore l’annuncio del primo ministro iracheno di aver avviato un’indagine sulle morti. “Chiediamo il rispetto del diritto delle persone di riunirsi liberamente e pacificamente e, in linea di principio, crediamo anche che sia necessario evitare ulteriori violenze e un uso eccessivo della forza”.
Sul punto va registrato il fatto che l’inviato delle Nazioni Unite per l’Iraq, Jeanine Hennis-Plasschaert, ha incontrato alcuni manifestanti mercoledì sera a Baghdad per ascoltare le loro istanze. Ovvero riforme economiche, posti di lavoro, servizi pubblici affidabili, responsabilità. Hennis-Plasschaert ha anche incontrato le autorità irachene e le ha esortate “a esercitare la massima moderazione nella gestione delle proteste e a dare ai manifestanti pacifici lo spazio per esprimere liberamente le loro menti, in conformità con la legge”.
C’è anche una parentesi iraniana nel caso iracheno: il ministero degli Esteri iraniano ha esortato i pellegrini iraniani a rinviare le loro visite ai luoghi santi sciiti in Iraq proprio a causa delle turbolenze nella vicina nazione araba. Ogni anno infatti circa 2 milioni di pellegrini iraniani visitano le città sante sciite nel giorno di Arbaeen, che quest’anno cade il 19 ottobre. Quel giorno infatti viene commemorato il martirio dell’Imam Hussein, il nipote del profeta Muhammad.