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Perché il green reporting è uno strumento utile alle imprese

Il 68% delle imprese italiane considera il cambiamento climatico un tema strategicamente rilevante; più del 90% misura regolarmente le proprie emissioni di gas serra, ma solo il 17% riporta il target di riduzione delle emissioni. E ancora: solo il 21% delle aziende rendiconta con chiarezza gli investimenti effettuati per miglioramenti ambientali, ma soprattutto meno in un’impresa su dieci riporta gli impatti ambientali connessi all’utilizzo dei propri prodotti. Questi alcuni dei risultati di un’indagine sulle Dichiarazioni non finanziarie delle imprese italiane, realizzata dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e presentata ieri a Roma .

L’indagine ha interessato 130 imprese delle oltre 200 tenute a presentare una rendicontazione non finanziaria, in base ad un decreto legislativo, in vigore dal 2017, con riguardo a comunicazioni di carattere ambientale e sociale. Lo scopo è stato quello di fare il punto sullo stato dei rapporti con un focus dal punto di vista della green economy toccando i temi del cambiamento climatico, dell’economia circolare e del capitale naturale e delle biodiversità. Ne sono scaturite 6 raccomandazioni/suggerimenti per la formulazione di un green reporting che sopperisca alle criticità emerse dall’indagine.

Come ha sempre sostenuto il presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile Edo Ronchi, “La transizione alla green economy richiede il pieno coinvolgimento del mondo delle imprese. Questo richiede che gli imprenditori rinnovino approcci e strumenti, inclusi quelli legati ala rendicontazione non finanziaria. Con questa indagine abbiamo voluto verificare il livello raggiunto dagli attuali strumenti in relazione alla green economy. Ne sono scaturite sei raccomandazioni che saranno certo utili alla imprese per trasformare il reporting in uno strumento efficace di orientamento strategico”.

Gli impatti ambientali delle proprie attività vengono misurati e monitorati in un perimetro limitato e delimitato, non considerando i beni e i servizi. Sono invece proprio i prodotti  che generano i maggiori impatti ambientali negativi, ma solo l’8% delle imprese ne valuta le performance ambientali. Così pure per le emissioni di gas serra: solo il 35% ne rendiconta nella  totalità della catena produttiva. In ottica di economia circolare solo l’11% rendicontano interventi di miglioramento delle performance di circolarità, a partire dal design del prodotto o sul proprio modello di business.

“La sostenibilità sta acquisendo rapidamente rilevanza strategica – ha detto il Presidente della Fondazione Global Compact Italia Marco Frey – e il tema dell’accountability è in una fase di evoluzione ben descritta dall’indagine che si è concentrata particolarmente sulla dimensione ambientale. Le imprese sono chiamate, anche dal mondo della finanza, a fornire una rappresentazione sempre più rigorosa del loro contributo alle sfide globali che l’Agenda 2030 ha tracciato”.

Tra le buone pratiche di rendicontazione sulla circular economy, climate action e capitale naturale, vale la pena ricordare quanto fatto nei suoi venti anni di attività dal Conai, il Consorzio Nazionale Imballaggi. Come ha ben sottolineato Simona Fontana, Responsabile del Centro Studi del Consorzio, “Conai ha nella propria mission l‘obiettivo della sostenibilità ambientale, garantendo il riciclo e il recupero degli imballaggi immessi al consumo dalle oltre 800 mila aziende consorziate. Dal 2013 abbiamo scelto di integrare la nostra strategia di sostenibilità con rendicontazioni annuali delle performance ambientali, sociali ed economiche del riciclo dei rifiuti di imballaggio gestiti dai sei consorzi di filiera, attraverso la pubblicazione del primo “Green Economy Report”, che, aggiornato annualmente, è in grado di misurare costi e benefici del recupero e del riciclo”.


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