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Se il governo fa scappare Mittal da Taranto ci rimette l’Italia. L’analisi di Pirro

Se l’attuale governo, al di là delle dichiarazioni di singoli ministri e di deputati e senatori del Movimento Cinque Stelle, confermerà con la sua maggioranza in Parlamento gli orientamenti che stanno emergendo in questi ultimi giorni sulle complesse questioni del gruppo siderurgico ex Ilva, oggi in affitto da parte di Arcelor Mittal – ovvero nessuna immunità agli attuali gestori e avvio della de-carbonizzazione del sito di Taranto – allora si saranno create consapevolmente a livello di esecutivo e alla Camera e in Senato le condizioni che potrebbero indurre la multinazionale franco-indiana a lasciare la gestione dell’intero compendio industriale che ha i suoi impianti a Taranto, Genova e Novi ligure. E a retrocederla all’amministrazione straordinaria, aprendo un durissimo contenzioso con lo Stato italiano per palese violazione di quanto stabilito a suo tempo nel bando di gara e nel contratto di acquisto del gruppo. Con fin troppo intuibili danni a livello internazionale sull’affidabilità del nostro Paese per altri investitori esteri.

Ma, a parte la perdita che potrebbe subire l’erario in caso di probabile soccombenza in giudizio delle nostre autorità, a questo punto quale sarebbe il piano B del governo ? Rifare una gara per l’aggiudicazione degli stabilimenti, con l’obbligo per i partecipanti e il vincitore di de-carbonizzare la fabbrica tarantina? E chi parteciperebbe a tale bando se la cordata Accia-Italia si è sciolta da tempo ? Se ne favorirebbe la costituzione di un’altra simile ? E in quanto tempo la nuova gara giungerebbe a conclusione ? E nel frattempo l’amministrazione straordinaria con quali risorse gestirebbe i siti e in particolare quello di Taranto, che molto probabilmente continuerebbe a perdere commesse, dal momento che, pur in una difficile congiuntura di mercato come l’attuale, nessun acquirente ordinerebbe più una sola tonnellata di coils nella più totale incertezza della sua fornitura ? Con prestiti ponte come quelli per l’Alitalia ? E l’Unione europea sarebbe d’accordo?

Questo scenario di remissione da parte di Arcelor Mittal già preoccupante, non sarebbe minimamente paragonabile con le sue incertezze a quello successivo, collegato alla auspicata progressiva de-carbonizzazione dello stabilimento ionico. Infatti che significherebbe in concreto tale processo? E chi lo attuerebbe e con quali costi? E poi si introdurrebbero uno o più forni elettrici e di quale capacità, lasciandosi in esercizio uno o più altiforni? E con investimenti di quale entità? E in che tempi di realizzazione impiantistica? E con quali prezzi del gas, del pre-ridotto di ferro e dei rottami ? E con quali prospettive di redditività per un sito che nel frattempo potrebbe aver perso gran parte delle sue commesse ? E nelle more di un così radicale processo di trasformazione impiantistica – che avrebbe bisogno di tempi tecnici di realizzazione e di collaudo non brevi – che ne sarà di tutte le maestranze? Andrebbero per la maggior parte in cigs? E in che tempi tornerebbero al lavoro? E soprattutto in quanti? E chi fosse escluso dal ritorno in fabbrica quanto resterebbe in cigs? Non vi sono già in cassa 1.700 lavoratori ex Ilva a carico della amministrazione straordinaria, il cui futuro – senza un’incisiva e rapida politica di re-industrializzazione del territorio, di cui al momento non si intravede neppure l’ombra – resterebbe totalmente incerto, con sofferenze economiche, sociali e psicologiche devastanti per tutti coloro che ne fossero investiti? Ma tutto questo – con il crollo intuibile anche del prodotto interno lordo del capoluogo e della Puglia – alle Associazioni ambientaliste e a qualche rappresentante delle Istituzioni evidentemente non interessa.

E la caduta pesantissima delle movimentazioni portuali è stata considerata? Ora, a parte i danni al momento incalcolabili per l’industria meccanica italiana che dovrebbe approvvigionarsi in larga misura sui mercati esteri per i suoi fabbisogni, qualcuno pensa veramente che si possa trasformare il sito di Taranto in un grande laminatoio, come tale non destinato a reggere in alcun modo sotto il profilo economico, e pertanto avviato alla dismissione senza una sua area a caldo? Lasciamo allora al ministro Fioramonti – pardon al prof. Fioramonti e a chi la pensa come lui – la leggerezza di alcune sue affermazioni circa la vetustà del modello siderurgico Arcelor, e altre affermazioni circa un investimento a suo tempo sbagliato. Probabilmente, nell’Università sudafricana ove il prof.Fioramonti insegna non conoscono né studiano la storia dell’industrializzazione del Mezzogiorno, né cosa significò per l’Italia meridionale, la popolazione tarantina (“che allora aveva fame”) e l’intera industria nazionale l’insediamento del IV Centro siderurgico della Finsider a partire dal 1960.

In ogni caso, sta di fatto che della prospettiva (drammatica) che abbiamo sia pure sommariamente tracciato – e che naturalmente vorremmo fosse smentita dai fatti – sarebbero ben lieti tutti coloro che a Taranto sin dal 26 luglio 2012, a vario titolo e in ogni modo, si sono impegnati e battuti per chiudere il siderurgico, i cui 8.250 addetti diretti in realtà sono attesi da floride prospettive di reimpiego nelle prossime edizioni della Fiera del Mare, di quelle di Medimex e nei lontani (anzi remoti) Giochi del Mediterraneo nel 2026. Auguri a tutti i cittadini di Taranto.


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