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Vi spiego cosa accade in Libano (e perché riguarda l’Italia). Parla l’ambasciatore Marotti

In tutto il Libano si susseguono manifestazioni popolari che chiedono un cambiamento dell’antico sistema confessionale e misure forti per contrastare la perdurante crisi economica. Auspici ai quali, spiega in una conversazione con Formiche.net Massimo Marotti, ambasciatore d’Italia in Libano, il primo ministro Saad Hariri ha risposto varando col suo governo un articolato pacchetto di misure per ridurre il deficit pubblico e rilanciare occupazione e consumi. Al quale, evidenzia la nostra rappresentanza diplomatica nel Paese, guarda con grande attenzione e con una mano tesa anche l’Italia, che con Beirut ha un lungo rapporto di amicizia, cooperazione allo sviluppo e alla sicurezza, e scambi commerciali. E che in Libano, con il generale Stefano Del Col, guida oggi la missione Unifil delle Nazioni Unite.

Ambasciatore Marotti, com’è la situazione in Libano?

Sul terreno le dimostrazioni continuano da giovedì sera in tutte le città del Paese. Sono manifestazioni che – al netto degli atti di vandalismo di venerdì notte, contenuti dagli stessi dimostranti – si sono svolte e si svolgono sostanzialmente in maniera pacifica e senza alcuna colorazione politica. Sono ammesse solo bandiere libanesi. Anche oggi i blocchi sono stati pressoché permanenti nelle principali arterie della nazione, presidiate sia dai manifestanti sia dalle forze dell’ordine.

Quali sono le ragioni della protesta?

Ci sono due motivi principali. Uno di sistema, l’altro di contingenza. Il primo riguarda la richiesta di riformare il sistema confessionale protetto dalla costituzione; un’architettura che ha origini antiche e che da tempo si pensa di modificare. L’altra è la grande crisi economica che attanaglia il Paese e in particolare la sua classe media, che negli ultimi anni ha vissuto un forte impoverimento.

Da che cosa dipende questa crisi?

È una crisi iniziata da almeno da 7 anni, da quando è cominciata la guerra in Siria. Questo, unito a uno spostamento della ricchezza nelle mani di pochi, ha creato le condizioni perché la maggioranza della popolazione vedesse ridotta la propria capacità di spesa. Il Libano è un Paese che importa moltissimo, e negli anni passati ha potuto beneficiare di una forte crescita che fino al 2011 arrivava all’8 per cento e di una moneta stabile. Questo consentiva di tenere in equilibrio la bilancia commerciale. Ora, invece, l’economia non cresce e ciò rende la situazione difficilmente sostenibile e sul punto di implodere. Già nel 2015 e nel 2017 c’erano stato segnali importanti, con l’idea di creare movimenti civici che superassero i limiti del sistema confessionale. Una situazione che è via via peggiorata fino alle proteste di questi giorni.

Come ha reagito il governo a queste dimostrazioni?

Il governo le ha accolte e riconosciute come tali, ringraziando i manifestanti per aver avuto il merito di riportare al centro del dibattito la questione e di aver posto nuovamente lo spirito nazionale al di sopra di quello confessionale che regole le attività del Paese da sempre. Venerdì il primo ministro Saad Hariri aveva dato a se stesso e al suo esecutivo una deadline di 72 ore per varare un piano di misure straordinarie che andassero incontro alle volontà della gente, ma anche al suo programma, che finora non era stato adottato. Si tratta di un pacchetto che ha come obiettivo un rilancio dell’occupazione e dei consumi. Lo stesso capo del governo, constatata l’urgenza di queste mosse e la necessità di rassicurare la popolazione, ha esortato i cittadini a proseguire nella loro protesta pacifica finché non avranno toccato con mano la bontà dell’azione dell’esecutivo. Infine, Hariri ha annunciato di voler intervenire anche proponendo la auspicata modifica della legge elettorale.

Chi non è d’accordo con questo piano?

Naturalmente c’è chi continua a pungolare, chiedendo le dimissioni del primo ministro, un governo transitorio e nuove elezioni per poi cambiare la legge elettorale. E anche alcuni ministri si sono dimessi, ancora senza una vera e propria comunicazione ufficiale, perché ritengono insufficiente la risposta del governo a questa crisi.

Come sono i nostri rapporti con il Libano?

I nostri interessi in Libano sono tradizionalmente molto importanti sia sul piano politico e strategico sia su quello economico. Svolgiamo una parte principale nella missione Onu nel Paese, che abbiamo guidato in passato e guidiamo oggi, e che continua a garantire la pace al confine tra Israele e Libano. Il nostro Paese ha contribuito al rafforzamento degli organi di sicurezza della nazione, che è rimasto immune alla penetrazione di estremisti islamici dalla Siria. Abbiamo legami culturali e storici, basati su uno scambio intensissimo tra università e centri di ricerca. E, altrettanto importante, abbiamo solidi rapporti economici. Siamo il Paese europeo che esporta di più in Libano, e fino all’acuirsi della crisi l’anno scorso
la Penisola vendeva nel Pese oltre 1 miliardo e mezzo di merci, con partnership tra imprese private di grande rilevanza. A questo va sommato il fatto che il Libano è dal 1987 destinatario di molte azioni della nostra cooperazione in ambiti come la protezione ambientale e del patrimonio culturale, lo sviluppo industriale e la sanità.

Quali sono, infine, gli auspici della diplomazia italiana?

La ricerca della stabilità politica, precondizione per il raggiungimento di un nuovo equilibrio economico-finanziario, è un obiettivo di fondo che la comunità internazionale e le sue istituzioni, e naturalmente la stessa Italia, auspicano e provano a supportare soprattutto da almeno un paio di anni. Siamo intenzionati, assieme con gli altri partner, a sostenere la ripresa economica del Libano, a partire dall’applicazione di questo piano di riforme.

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