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La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870

Di Antonio Russo

Nel libro “La guerra per il Mezzogiorno. Italiani, borbonici e briganti 1860-1870” Carmine Pinto ripercorre il complesso processo di formazione dello Stato nazionale italiano mettendo al centro del progetto lo studio del duro conflitto civile che sconvolse il Mezzogiorno tra gli anni ‘60-70 dell’Ottocento.

L’autore supera la storiografia del secondo dopoguerra, che ha interpretato il fenomeno del brigantaggio in chiave di conflitto sociale o di repressione criminale, dando una risposta sincera e pragmatica a quella pubblicistica che negli ultimi anni ha risvegliato il mito del regno borbonico come realtà felice e progredita.

Lo scontro militare combattuto tra unitari e lealisti viene analizzato attraverso tre importanti sviluppi innescati da una particolare congiuntura storica, ovvero: una saldatura o sovrapposizione tra la guerra italiana e il conflitto civile meridionale latente sin dai primi anni dell’Ottocento; un conflitto totale che investe tutta la società meridionale; una guerra non convenzionale, ovvero una guerra combattuta da un esercito italiano regolare e una controparte composta da formazioni irregolari.

L’autore utilizza la storia militare, la ricostruzione delle operazioni e le vicende dei combattenti per comprendere le diversificate ragioni che spinsero un’intera società a schierarsi su uno dei due fronti radicalizzando i progetti patriottici. Particolare attenzione viene posta a più riprese sulla guerra delle idee, in quanto entrambi i progetti politici si avvalsero di determinati presupposti ideologici per legittimare e giustificare le proprie azioni.

La struttura del saggio è coerente con la complessità dell’argomento affrontato e si svolge su due livelli, uno orizzontale e uno verticale. Sul piano orizzontale l’autore riesce a dare linearità al discorso partendo dagli antichi movimenti liberali e rivoluzionari e portandosi avanti attraverso gli anni cruciali della guerra civile (1860-1865) per poi concludere il discorso illustrando le ultime forme di resistenza al nascente Regno d’Italia. Dal punto di vista verticale il discorso si fa denso e profondo quando l’autore, avvalendosi di una grande quantità di documenti e materiali, riesce ad attestare scontri armati avvenuti in piccoli distretti territoriali e periferici. La vastità di ricerche ci permette di analizzare e comprendere il conflitto, facendo emergere la competizione politico-ideologica tra gli unitari e i borbonici, il conflitto civile meridionale tra liberalismo costituzionale e assolutismo, ma soprattutto la lotta interna tra gruppi di potere, fazioni locali ed interessi sociali che avevano piegato tutto il mezzogiorno continentale.

In sintesi l’opera ci regala le mille sfaccettature della guerra civile, portando alla luce la vasta rete di collaborazioni all’interno dei due progetti politici e riuscendo a mantenere sempre collegato, in modo armonioso e naturale, il contesto globale con quello locale. Impressiona l’attenzione riservata sia ai protagonisti del conflitto che ai personaggi secondari e marginali, infatti il testo discorre tra le manovre dei grandi generali dell’esercito italiano, dei temutissimi capibanda e le azioni minori, ma non secondarie, di singoli briganti o di piccoli gruppi di guardie nazionali.

L’autore rammenta che il fenomeno del brigantaggio ha radici ben profonde e che il dispiegarsi degli eventi è stato molto complesso e dunque non adatto a deduzioni semplicistiche. Interessante la riflessione sul successo di queste tematiche nel discorso pubblico attuale, nel quale spesso avviene una riduzione dello spazio temporale e psicologico tra gli eventi e il mondo attuale, ricordando al lettore che gli eventi analizzati sono avvenuti in un tempo lontano e con dinamiche completamente diverse da quelle odierne. Pinto sottolinea che per evitare una distorsione del senso degli avvenimenti va assolutamente elusa la proiezione degli attori e delle loro azioni al di fuori del loro originale contesto storico.

 

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