Il santo che unisce Francesco e Benedetto XVI, l’anglicano convertito al cattolicesimo John Henry Newman, arriva agli onori degli altari in un giorno difficile per il cristianesimo europeo. Lui, il teologo che per tanti ha saputo unire fede e ragione nel nome della coscienza, viene canonizzato a piazza San Pietro e posto dal cardinale Ravasi nella posizione di probabile patrono dell’ecumenismo proprio nelle ore in cui Mosca potrebbe decidere di rompere le sue relazioni ecumeniche anche con Atene, gettando ulteriore scompiglio nel mondo ortodosso.
Il sinodo Greco, a larghissima maggioranza, infatti ha deciso di concedere all’arcivescovo di Atene Jeronimos di riconoscere l’autocefalia alla Chiesa ortodossa in Ucraina come proposto mesi fa dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I.
A Mosca ritennero che ci fossero le condizioni per lo strappo, lo scisma dell’ecumene ortodossa, e decisero di procedere in tal senso. Sospese le celebrazioni congiunte, proibita la partecipazione ai riti celebrati da esponenti del patriarcato ecumenico. Ora Mosca deciderà di creare proprie parrocchie anche in territorio greco come ha deciso di fare in Turchia?
La più diffusa tra le opinioni è che un passo del genere avrebbe conseguenze gravi. Da più parti nel mondo ortodosso la posizione moscovita è percepita come un’evidente segnale di arroganza e di debolezza. Arroganza per la pretesa di contare solo sulla forza dei numeri, debolezza perché questi numeri stanno alienando a Mosca la solidarietà di ampi settori delle altre chiese ortodosse, che si sentono trattate come sorelle minori ed a sovranità limitata. Irritazioni di questa natura si avvertono anche ad Antiochia, Sofia, manca all’appello solo Belgrado, da sempre fedelissima a Mosca.
Un campanello di estremo allarme per Mosca arriva da quanto accade a Parigi, dove l’esarcato ortodosso costituito in larghissima maggioranza da russi fuggiti da Mosca negli anni della rivoluzione sovietica si è spaccato. La maggioranza, non sufficiente a decidere da sola, ha optato per il ritorno sotto la diretta governance moscovita, ma cinque vescovi si sono opposti divertendo l’assemblea convocato dall’esarca. L’esarca, nominato da Mosca, ha deciso di ricollocarsi nell’alveo del patriarcato di Mosca, ma la minoranza ha rifiutato e ora il rischio è quello dell’ennesimo scisma.
C’è infatti un’idea di chiesa nazionale alla base della visione moscovita che allarma tutti. Il patriarca Kirill lo ha indicato chiaramente tempo fa, quando affermò che nulla è più bello che vedere i russi della diaspora preservare la loro lingua, i loro canti, le loro tradizioni. Chiesa nazionale o chiesa nazionalista? Il bivio è evidente se si considera che tutte le diaspore sono chiamate a vivere in un altro territorio, mentre le chiese particolari sono chiamate a servire un territorio, non un popolo-nazione.
La teologia nazionalista di Mosca potrebbe trovare un aiuto proprio ascoltando la riflessione del beato, oggi santo, Newman. A quel tempo la disputa tra cattolici e anglicani riguardava esattamente il potere temporale del Papa, che la chiesa anglicana rifiuta: Federick Faber e il cardinale Henry Edward Manning ad esempio erano degli appassionati difensori del potere temporale del Papa. Newman invece sosteneva che un cattolico avrebbe certamente ubbidito al Papa, ma solo dopo aver seguito la sua coscienza.
Sta a Mosca trovare la forza per uscire dalle secche dell’identitarismo nazionalista, che appiattisce la chiesa sul potere politico del Cremlino, relegandola ad ancella di un espansionismo politico che non funziona nel XXI secolo.